Da dove può rinascere quell’unità di intenti che gli italiani hanno dimostrato nei momenti cruciali della loro storia? Com’è riuscito questo Paese a superare crisi ben più pesanti di quella che stiamo vivendo?
A queste domande il Meeting di Rimini ha iniziato a rispondere con il grande incontro inaugurale di ieri che ha visto la presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e con una mostra dal titolo “150 anni di sussidiarietà”.
Piero Ostellino, intervistato da IlSussidiario.net, offre il suo contributo al dibattito.
Ostellino, che riflessioni le ha suscitato l’intervento del Capo dello Stato al Meeting?
Innanzitutto il Presidente Napolitano ci ha ricordato magistralmente che per procedere non si può negare ciò che ci ha preceduto.
Negli ultimi tempi, invece, sembra andare piuttosto di moda in Italia, soprattutto da parte di chi poi ne gode i frutti, parlare della democrazia liberale come se si trattasse di un incidente, del capitalismo come di una disgrazia e del mercato come di una circostanza dannosa.
Se oggi però siamo liberi, come mai lo siamo stati , è proprio grazie alla democrazia liberale. E se godiamo del benessere è per merito del capitalismo e del mercato.
È emersa poi un’altra costante preoccupazione del Presidente.
Quale?
Che la politica prenda decisioni credibili e rapide, ma nel rispetto delle regole.
Da un lato perciò Napolitano sollecita gli italiani a ritrovare il loro slancio originario per uscire dalla crisi e a non dimenticare ciò che di buono hanno fatto le nostre istituzioni democratiche e le nostre libertà economiche. Dall’altro invita però la politica a essere la prima delle forze in campo a non infrangere le “regole del gioco”. Su questo versante, purtroppo, devo dire che il quadro è tutt’altro che roseo.
A cosa si riferisce?
Se da una parte abbiamo un governo che approva leggi retrodatate e fa eccezioni a tutta una serie di diritti, dall’altra abbiamo un’opposizione che invita addirittura a tradire il patto che lo Stato ha stretto con i suoi cittadini ai tempi dello “scudo fiscale”. In questo modo però entrambi gli schieramenti teorizzano la scomparsa della certezza del diritto.
I politici farebbero bene a tenere a mente le lezioni della storia: non c’è emergenza che giustifichi la rinuncia ai principi della democrazia liberale. Gli italiani che scambiarono il fascismo per una “transizione necessaria” fecero un errore simile.
L’invito del Meeting a rileggere i 150 anni dell’Unità d’Italia come la storia del protagonismo di un popolo fornisce secondo lei una chiave di lettura utile per rispondere alla crisi senza ricorrere a un eccesso di Stato?
Direi proprio di sì. Dobbiamo tornare allo spirito con cui il popolo italiano uscì dalla tragedia della Seconda guerra mondiale. Il boom economico, infatti, avvenne perché al potere non c’erano uomini che pretendevano di sostituirsi ai cittadini, ma politici che misero gli italiani nelle condizioni migliori di fare ciò che potevano fare.
Questa è la sussidiarietà: più stato dove è necessario, più società civile dove è possibile. Un principio teorizzato e sostenuto dalla Chiesa e che CL ha il merito, a mio avviso, di continuare a ribadire.
Penso che sia questo il grande contributo che il Meeting di quest’anno sta dando al dibattito pubblico del Paese.
Anche le importanti parole pronunciate ieri da Lupi (Pdl) e Letta (Pd) a favore del “disarmo” potranno secondo lei contribuire alla formazione di un bipolarismo diverso, più mite e responsabile?
A condizione che non scadano nella pura retorica e nell’unanimismo, perché il confronto democratico è (e dev’essere) inevitabilmente duro. L’importante è che si rispetti l’avversario.
A questo proposito inizierei ad accontentarmi del fatto che si torni a chiedere ai politici di rendere conto del loro comportamento in Parlamento e non di quello che tengono nelle loro a case. Ultimamente, infatti, gira una strana idea di democrazia…
(Carlo Melato)