Piero Fassino, nuovo sindaco di Torino, esponente storico del Partito Democratico, risponde a tutto tondo ad alcune domande sul discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sul Meeting di Rimini, sulla manovra finanziaria, sul futuro politico del Paese.

Che cosa ha significato, secondo lei, per il Paese il discorso fatto da Napolitano al Meeting di Rimini e che responsabilità chiede al centrosinistra?



Direi che il discorso conferma il ruolo essenziale che il Presidente della Repubblica esercita nella vita del Paese. Napolitano è diventato per i cittadini, in modo crescente un punto di riferimento e di certezza in un momento in cui la politica appare sbandata e lontano dai cittadini.
E’ significativo che, mentre i cittadini hanno sfiducia per partiti e le istituzioni politiche, per il Parlamento e il Governo, provino esattamente il contrario per la presidenza della Repubblica e per il Presidente, che gode di una popolarità e di un consenso altissimo.
Conferma che i cittadini credono alla politica, guardano con fiducia quando parla alle loro menti e ai loro cuori come fa il presidente Napolitano. Con moniti e appelli che io mi auguro tutta la classe dirigente del Paese sappia accogliere e mettere in pratica.



Anche per il centrosinistra ?

Direi che gli appelli di Napolitano si rivolgono all’insieme della classe dirigente, sia quella politica, economica e sociale. Si rivolge sia a chi svolge funzioni di governo sia a chi svolge funzioni di opposizione. E’ un appello ad assumersi fino in fondo le responsabilità necessarie per portare il Paese fuori dalla crisi. In un momento in cui le tempeste finanziarie mettono a dura prova le certezze delle famiglie sul lavoro e sul futuro dei loro figli. Quindi è un dovere della politica intercettare queste ansie dei cittadini. Gli appelli di Napolitano mi sembra che spingano ad essere all’altezza di questo compito.



Il Meeting e il Presidente Napolitano hanno condiviso una lettura originale dei 150 anni di storia italiana: il protagonismo del popolo, la sussidiarietà che ci hanno permesso di superare crisi peggiori di questa. La condivide questa analisi?

Condivido, perché è una delle caratteristiche che ha reso sempre forte la democrazia italiana. C’è sempre stata una forte partecipazione alla vita politica, anche in modi diversi. Il livello di partecipazione è sempre stato alto, forse il più alto rispetto ad altri Paesi.
C’è stata partecipazione nei partiti, nei sindacati, negli organismi di rappresentanza che hanno sempre visto forti basi di massa in Italia. Per arrivare a quell’enorme reticolo di associazionismo democratico, terzo settore, sussidiarietà sociale, che fa sì che la nostra società sia ricca di movimenti di tipo partecipativo che contribuiscono ogni giorno alla crescita del Paese, al suo sviluppo e al suo futuro.
Quindi non c’è dubbio che mettere in evidenza che, in centocinquant’anni di storia, il Paese abbia vissuto le stagioni più importanti e più delicate con un forte protagonismo dei cittadini e quindi con una forte sussidiarietà sociale e civica, credo che sia giusto e si tratti di mettere in evidenza un valore particolare della storia italiana.

 

Come sindaco di Torino, lei ha chiesto di non fare più tagli ai Comuni. Come si può compensare? Con le pensioni?

 

Per la verità, ho detto due cose. Da dieci anni tutte le manovre correttive dei conti pubblici di rientro sono basate sulla riduzione delle risorse per i Comuni, ma al tempo stesso ho detto che i Comuni sono pronti ad assumersi le proprie responsabilità.
Quando ho lanciato la proposta di avere maggiori margini nelle addizionali, quando ho chiesto che si anticipi l’Imu dal 2014 al 2012, quando ho detto che nella riforma federalista era prevista una Tax service di carattere comunale che è sparita e ne chiedo l’istituzione, ho lanciato proposte che portano a rivolgersi ai cittadini per chiedere uno sforzo di compartecipazione finanziaria rilevante.
Quindi, chiediamo che non ci siano tagli e nello stesso tempo chiediamo ai cittadini di fare quello sforzo di solidarietà per portare il Paese fuori dalla crisi.

 

Non toccherebbe le pensioni?

Si sono fatti molti interventi sulle pensioni negli ultimi venti anni. Il sistema previdenziale italiano, in buona misura, è stato raddrizzato rispetto alle storture che aveva. Ulteriori interventi, correttivi si possono sempre fare. Si possono migliorare alcune cose. Sapendo che il sistema italiano non è più quello di venti anni o trent’anni fa. Leggo che bisogna mettere fine ai privilegi e giustamente molti privilegi sono stati tolti.
Il famoso esempio del dipendente pubblico che andava in pensione con diciannove anni, sei mesi e un giorno, non esiste più. Biosogna sapere che il sistema è stato riformato e naturalmente si possono fare altri miglioramenti.

 

Un parere su alcuni temi caldi della discussione sulla manovora: abolizione delle Province? Introduzione del quoziente familiare nel contributo di solidarietà? Innalzamento dell’Iva?

 

Sin qui la discussione è stata impostata male. Non puoi abolire un pezzo dell’intelaiatura istituzionale senza modificare anche il resto. Io credo che bisogna partire dai Comuni. Noi abbiamo ottomila comuni che rappresentano una frammentazione eccessiva, tenuto conto che cinquemila hanno meno di tremila abitanti.
La scelta che bisogna fare è, come si è fatto in alcune regioni, di incentivare unioni di comuni che consentono a comuni piccoli di non perdere la loro identità, ma associandosi tra di loro per costituire unioni che raggiungano la dimensione di scala adeguata a gestire i servizi che i cittadini chiedono, Non si può farlo in modo un po’ demagogico come lo ha fatto il Governo: aboliamo le giunte e i consigli dei comuni piccoli.
Non è questo il problema. Il problema vero è sollecitare giunte e consigli di comuni ad associarsi per unioni, con una governance adeguata alla dimensione dei problemi. Se si fa questa operazione allora ha un senso affrontare anche quello delle Province. Nel momento in cui si va ad una ridefinizione delle dimensioni comunali è giusto affrontare il problema delle Province. Io ho una mia idea. Bisognerebbe dire che le Province non sono più un organismo statale, ma sono un organismo regionale, affidando a ogni regione la responsabilità di definire quali, quante, con che confini ci devono essere Province in ciascuna regione.
Questo sarebbe più coerente con l’impianto federalista delle Regioni che dovrebbero poi assumere la responsabilità dei finanziamenti che non possono essere a carico dello Stato. E mi pare curioso che sia sparito il dibattito sulle aree metropolitane.

 

L’introduzione del quoziente familiare nel contributo di solidarietà ?

 

Correzione giusta e dovuta, perché le famiglie non sono tutte eguali

 

L’innalzamento dell’Iva ?

 

In termini contenuti si può fare. Naturalmente deve essere fatto in termini contenuti per non avere un effetto negativo sui consumi.

 

Parliamo di federalismo. Anche secondo lei questa manovra lo ha definitivamente ucciso?

 

Subisce un duro colpo. Non è un caso che le proteste da parte dei sindaci vengono anche dal fronte leghista. Il disagio che vivo io, sindaco di una amministrazione di centrosinistra è lo stesso che vive Tosi a Verona, Fontana a Varese, come Alemanno a Roma. Questa è una manovra che penalizza ulteriormente i comuni e i sindaci, quale sia il loro colore politico, sono tutti uniti nel chiedere una inversione di rotta. Ripeto, sono dieci anni che il principale contributore alle manovre di aggiustamento dei conti pubblici sono i comuni. Forse bisogna cominciare a rivolgersi anche a qualcun altro.

 

In molti rinfacciano al Partito democratico di chiedere in maniera sterile e continua le dimissioni di Berlusconi? Intendete rimanere fermi su questo punto?

Il Pd sta dicendo una cosa molto semplice. Berlusconi ha disatteso tutte le principali parole d’ordine sulle quali aveva costruito il suo rapporto di credibilità con il Paese. E’ vero che viviamo tempi in cui la memoria si azzera nel giro di venti minuti, ma vorrei ricordare che Berlusconi, 45 giorni fa, non 45 mesi fa, ha promesso agli italiani una riforma fiscale su tre aliquote che doveva prevedere una riduzione di tasse per tutti.
Sono passati 45 giorni e ci troviamo di fronte a una manovra di 50 miliardi di euro, che sono 100mila miliardi di vecchie lire che sono un salasso di prelievo fiscale per la stragrande maggioranza dei cittadini. Con quale credibilità può continuare a governare il Paese chi pensava l’opposto 45 giorni fa? Quarantacinque giorni fa la crisi economica era già gravissima.

 

La proposta del Partito democratico è quella di una maggioranza diversa, di un governo tecnico o di un governo di “responsabilità nazionale”?

 

Finchè il presidente del Consiglio si ostina a stare dove è, è difficile pensare a soluzioni diverse. Di fronte a un passo indietro del presidente del Consiglio, di fronte a un’emergenza così critica come quella di oggi, è giusto che tutte le forze politiche facciano un passo avanti e si assumano delle responsabilità.
Le forme le deve verificare prima di tutti il Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica. E’ inutile che ognuno si metta ad astrologare su soluzioni. Ma non c’è dubbio che di fronte a un passo indietro del presidente del Consiglio le forze politiche devono fare un passo avanti, tutte, per assumersi le responsabilità che sono necessarie in questo momento. Poi, le forme concrete derivano dalla evoluzione di un eventuale cambio di governo e da come il Presidente della Repubblica accerterà le disponibilità delle diverse forze politiche.

 

(Gianluigi Da Rold)

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