Ieri c’è stata in Senato l’audizione di Bankitalia sulla manovra del governo. Occorre «andare nella direzione di ridurre il peso degli aumenti delle entrate» ha detto il vicedirettore dell’Istituto di via Nazionale, Ignazio Visco, e «accrescere il ruolo delle misure strutturali». E «il riequilibrio dei conti deve associarsi a una politica economica volta al rilancio delle prospettive di crescita della nostra economia». Preoccupanti anche le stime di aumento della pressione fiscale, che potrebbe schizzare verso l’alto. Sono molte le critiche piovute sull’ultima versione della manovra uscita lunedì sera dal vertice di maggioranza, tenutosi ad Arcore. Le maggiori difficoltà rimangono comunque di natura politica. Per Guido Gentili, editorialista del Sole 24Ore, Berlusconi è il solo che può ancora dare alla manovra un’ispirazione riformatrice, senza soccombere ai veti incrociati.



Qual è la sua lettura politica dell’ultima versione della manovra?

Come nella manovra precedente, la partita si è giocata da un lato sull’asse dei rapporti tra Pdl e Lega, e dall’altro sul piano dei rapporti personali tra Berlusconi e Tremonti. Con ministro dell’Economia ancora legato alla Lega. Due partiti e due personalità a confronto. Berlusconi è stato molto fermo nell’affermare il principio che lo ha guidato fin dalla manovra bis del 13 agosto, quello di «non entrare nelle tasche degli italiani». Il contributo di solidarietà era nella sostanza una supertassa. Il premier si è imposto e l’ipotesi è stata cancellata.



E Tremonti?

Tremonti non voleva un aumento dell’Iva e ha ottenuto che per il momento non se ne faccia niente. La Lega aveva messo il no più secco sulla questione delle pensioni, ha accettato un’ipotesi di riforma non strutturale e cioè un intervento limitato alle pensioni di anzianità. C’è stato un compromesso complessivo all’interno della maggioranza e tra il premier e Tremonti.

L’accordo raggiunto segna dunque una vittoria di Berlusconi, dopo una fase di appannamento?

È indubbio, anche se il quadro rimane abbastanza complesso. Non dimentichiamo che all’interno del Pdl in queste settimane c’è stato un forte mal di pancia, con molti deputati che hanno contestato la politica fiscale di Tremonti. E con Berlusconi che si è fatto in qualche modo portavoce di questo malessere. Sotto questo profilo si può dire senz’altro che Berlusconi ha ripreso l’iniziativa politica. Al tempo stesso il neo segretario del Pdl, Alfano, non è rimasto fermo.



Quanto ha pesato il suo ruolo?

Ha fatto il pontiere all’interno della maggioranza di governo e in particolare con Maroni. Se dovessi quindi pesare l’esito dell’incontro di ieri, vedrei in ribasso le «azioni» politiche di Tremonti, in risalita quelle di Alfano da un lato e di Maroni e della Lega dall’altro. Berlusconi si è imposto e ora è in leggera risalita, mentre mi paiono in leggero ribasso le azioni di Bossi, che in questo caso ha un po’ subito la situazione.

Nella mattinata di oggi (ieri, ndr) c’è stata l’audizione di Bankitalia, che ha fatto diverse critiche.

Mi sembra significativo che la Banca d’Italia continui ad insistere sul mantenere fermo il controllo dei conti pubblici. Non si può, ha detto Bankitalia, diminuire l’entità della manovra. Non basta però fare modifiche a saldi invariati. La necessità di «accrescere il ruolo delle misure strutturali» parla chiaro: l’aumento delle entrate e i tagli alle spese non bastano a fare una strategia pro crescita.

La cosa più preoccupante è la stima sull’innalzamento della pressione fiscale, che «nel 2014 si attesterà al massimo storico del 44,5%». È una prospettiva che non va molto d’accordo col proposito di «non entrare nelle tasche degli italiani»…

Certamente. Ed è il grande problema che ci portiamo dietro dalla prima manovra. Quella approvata a luglio era stata costruita spingendo prevalentemente sul pedale delle entrate, e come se non bastasse il problema si è aggravato con la manovra bis, tanto è vero che i tecnici del Senato, calcolando anche l’impatto del contributo di solidarietà, hanno profilato una pressione fiscale che nel 2014 supererebbe addirittura il 48%. Oggi alcuni punti sono caduti, come il contributo di solidarietà, ma Bankitalia evidenzia che saremmo comunque a livelli record. Rischiamo di diventare i primi in Europa per pressione fiscale, scavalcando anche i paesi del nord Europa, senza avere però i servizi che offrono Svezia e Danimarca.

Come coniugare rigore e crescita?

Manca per esempio un approccio serio e strutturale al problema previdenziale. L’introduzione del calcolo delle pensioni di anzianità sulla base degli anni effettivamente lavorati è un passo avanti, ma non è quello che ci si aspettava. Dovremmo alzare anche noi l’età pensionabile, come ha fatto la Germania. Avremmo risorse da mettere nella crescita e potremmo rispondere ad una dinamica demografica preoccupante, che comincia già ora a produrre i suo effetti.

Alcune delle riforme previste possono essere fatte solo per via costituzionale. Ma ci sono le condizioni per farle?

Una legge di revisione costituzionale richiede un accordo politico e tempi molto lunghi. Di modifiche all’articolo 41 della Costituzione il governo ha cominciato a parlare all’inizio di giugno del 2010, e sappiamo com’è finita. Non facciamoci illusioni.

Cosa dovrebbe fare adesso Berlusconi?

Insistere nella strada che in qualche modo, sia pure in una situazione confusa e tra mille contraddizioni, ha imboccato ieri, cercando di evitare sciocchezze, come le fantasiose tasse patrimoniali prospettate dalla Lega, di insistere sul fisco e di riguadagnare il consenso di un’opinione pubblica che molto aveva puntato sull’idea di un governo liberale.

Un errore che rimprovera al premier?

Dal punto di vista mediatico questa manovra è stata gestita malissimo. Strano che un uomo come Berlusconi non si sia accorto che una simile operazione, così fatta, gli costava credibilità e consenso.