Il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è atteso alle 11 di questa mattina al palazzo del Consiglio Ue di Bruxelles, dopodiché verrà ricevuto dal presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, all’Europarlamento di Strasburgo. Una visita attesa e discussa, soprattutto in Italia, per il conseguente rinvio dell’audizione del premier con i pm di Napoli sul caso Tarantini. «Una coincidenza probabilmente voluta – dice Antonio Polito a IlSussidiario.net –, anche se è evidente che il Presidente del Consiglio, convocato formalmente come parte lesa, è in realtà oggetto di un atto ostile della procura napoletana. Siamo comunque alle solite: la “strategia processuale” di Berlusconi, seppur legittima, finisce col coinvolgere le istituzioni e creare imbarazzo al Paese».
Si avverte nell’aria il timore (o, a seconda dei casi, la speranza), di un “colpo di grazia” extraparlamentare che possa affossare il governo?
Direi di sì, anche se sono 17 anni che c’è chi attende l’“incidente” giudiziario in grado di mettere fine alla carriera politica di Berlusconi.
Le voci che si rincorrono e che riguardano anche i presunti occultamenti della procura di Bari questa volta lasciano effettivamente intravedere scenari allarmanti per il governo.
Di certo però servirebbe maggiore rigore. L’uso politico e propagandistico delle intercettazioni non è consentito dalla legge. Da noi però è diventato un’abitudine pericolosa, un’arma che oggi viene usata contro Berlusconi e che domani potrebbe colpire qualcun altro.
Cosa intende per “scenari allarmanti”?
In passato ho sempre creduto che la forza politica del Cavaliere non potesse essere scalfita dalle accuse anche gravi che gli venivano rivolte. Oggi invece penso che un nuovo piccolo infortunio possa mandare al tappeto un corpo politico estremamente debole.
Nonostante questa spada di Damocle, il governo domani dovrebbe poter approvare la manovra, senza grossi problemi, ma con la fiducia.
Questo non mi scandalizza. Dopo l’infinito balletto a cui abbiamo assistito per tutta l’estate non penso che ci fosse più spazio per i ripensamenti. Ogni possibile soluzione infatti era già stata analizzata e commentata da tutte le forze politiche. Adesso è il momento di chiudere la pratica.
E qual è il suo giudizio sui suoi contenuti finali?
Devo dire che il risultato è estremamente deludente, ma questo dipende dalle vere ragioni che hanno animato il dibattito politico. Il punto centrale, infatti, è sempre stato solo uno: come far pagare nuove tasse agli italiani senza perdere voti.
Tutti gli attori hanno ragionato così: Bossi ha messo il veto sulle pensioni, Berlusconi non ha voluto toccare i redditi medio alti… Un esercizio di egoismo politicante che ha fatto perdere di vista l’obiettivo finale. E così si è gettata un po’ d’acqua sulla casa in fiamme senza incidere sulle cause dell’incendio.
E quali sarebbero secondo lei?
Un livello della spesa pubblica e della tassazione troppo elevati. Su questo fronte non si è fatto nulla. Siamo perciò destinati a uscire da questa manovra con una capacità di crescita estremamente ridotta.
Davanti a questa situazione sul versante opposto si registra la convergenza di tutta l’opposizione su un unico punto: il “passo indietro” di Berlusconi…
Una prospettiva auspicabile, in linea di principio. Un governo più autorevole, coeso e deciso riguardo agli obiettivi da perseguire infatti sarebbe certamente qualcosa di desiderabile.
Come accennavo prima, la prova di questo esecutivo sulla manovra è stata deprimente. Abbiamo dovuto assistere a una sorta di Babele, nella quale anche le seconde e le terze file della maggioranza avevano voce in capitolo, con effetti tragici, oltre che esteticamente sgradevoli, sulla fiducia degli investitori.
E a livello pratico?
Nel concreto, anche se qualitativamente discutibile, la maggioranza è numericamente solida. Nessuno può rovesciare una maggioranza parlamentare: né la Confindustria, né la Cgil, né tantomeno il Capo dello Stato.
Solo un moto dell’opinione pubblica, provocato magari da un gravissimo scossone finanziario, potrebbe farlo. Solo a quel punto penso che si potrebbe realizzare un governo di larghe intese. L’unica soluzione che permette a tutti i partiti di farsi carico di misure impopolari senza il timore di cedere consenso all’avversario.
Intanto, dopo le dichiarazioni di D’Alema e non solo, le strade del Pd e del Terzo Polo sembrano dividersi.
In questo caso parlerei di “deriva dei continenti”, una sorta cioè di processo geologico lento e inevitabile. Diciamo che fin dal risultato delle amministrative e del referendum, il Pd sembra inesorabilmente spinto, anche indipendentemente dalla propria volontà, verso un’alleanza a sinistra, senza troppe complicazioni. Un cartello (Pd, Sel, Idv) che può in pratica ricalcare il consenso del Pci dei tempi migliori.
Dall’altra parte, del resto, si registra un processo simile.
Cosa intende dire?
Il disfacimento del Pdl in correnti e sottocorrenti spinge Casini e il Terzo Polo a rivolgersi principalmente all’elettorato berlusconiano e ad acuire le distanze con la sinistra.
Una deriva che ha un ulteriore effetto negativo sull’ipotesi del governo di emergenza perché rende più improbabile l’alleanza di “tutti con il Pdl”, l’unico schema possibile per una soluzione di questo tipo. Un Pd ancorato a sinistra infatti non potrebbe reggere a questa ipotesi.
Anche la discussione sulla nuova legge elettorale può incidere sugli scenari futuri?
Certamente. Il pressing in corso dentro il Pd dei veltroniani e dei prodiani in favore del referendum pro Mattarellum ha l’obiettivo evidente di chiudere ogni spazio di dialogo con l’Udc. È un atto di ostilità verso il Terzo Polo che non può accettare il ritorno di un bipolarismo rigido.
È su questo tema, e sulla questione morale, che gli avversari di Bersani si preparano a dare battaglia.
(Carlo Melato)