Riusciranno i “nostri eroi”, ovvero i Pm di Napoli, a “far fuori” Berlusconi? Il quesito riporta al centro il fatto che ancora una volta – come vent’anni fa – il mutamento del quadro politico è in mani extraparlamentari. Berlusconi infatti è dovuto “fuggire” da Barroso, ma – tra guerre e crisi finanziarie – non sembra insidiato a livello parlamentare nonostante l’approvazione della manovra finanziaria abbia visto un iter che avrebbe potuto incenerire il governo.
La presentazione del testo iniziale ha infatti visto il presidente del Consiglio prenderne le distanze già in conferenza stampa. Quindi è scattata la messa in stato d’accusa del ministro dell’Economia dal seno stesso del Pdl.
Si è partiti con l’attacco di Antonio Martino al governo di “pazzi socialisti”, ma la campagna di delegittimazione e di discredito contro Tremonti si è risolta con un “todos” ministri dell’economia ovvero il “tanti cuochi in cucina”.
Si è a momenti assistito a una sorta di felliniana “Prova d’orchestra”, a un indisciplinato assemblearismo dove ogni spezzone della appiccicosa maggioranza parlamentare s’improvvisava economista e pretendeva di lasciare la propria firma su qualche pezzo del provvedimento. La conseguenza è stato un incedere non precisamente “decisionista”, ma piuttosto a “zig zag” dove alla fine il maggior numero di lamentele è stato collezionato proprio in nome di valori “liberali” offesi. Antonio Martino ribadisce: “Non la voterò”.
Paradossalmente però questo incedere a zig zag da parte del governo ha come “rimbambito” l’opposizione che continuava sempre a bocciare tutto e il contrario di tutto senza riuscire a emergere, proprio nel momento di maggior divisione e confusione nella maggioranza, come alternativa credibile con una propria piattaforma chiara e coerente.
L’opposizione – il Pd in primo luogo – man mano si è rifugiata all’ombra delle polemiche provenienti da sedi extraparlamentari per finire in conclusione a rimorchio della Cgil sposandone proprio la scelta più arretrata e ininfluente sul Parlamento: uno sciopero generale contro la Cisl, la Uil e il “Corriere della Sera”.
Berlusconi ha così concluso un passaggio parlamentare e politico vissuto in condizioni di estrema debolezza – con divisioni interne e attacchi personali sul fronte giudiziario e mediatico – riuscendo però a presentarsi alla fine con al suo fianco Quirinale e Banca d’Italia (le due istituzioni “cult” della sinistra italiana) e con il plauso della BCE e dell’Ocse.
Sostanza: rimane certamente sul terreno il dato di un Berlusconi indebolito, privo del carisma del passato e con sondaggi non più da sbandierare. Ma la prospettiva di un “ribaltone” parlamentare e di un’alternativa elettorale imperniata sul Pd è sempre più nella nebbia. L’adesione di Bersani allo sciopero della Camusso e al referendum di Veltroni evidenzia la fragilità della leadership del Pd di fronte all’opposizione interna e in generale al movimentismo di Vendola e al giustizialismo di Di Pietro.
Il dato di fondo che emerge da questa conclusione della manovra finanziaria è che l’alternativa a Berlusconi non è il Pd, ma si delinea sempre più in termini di una nuova discesa in campo di provenienza extraparlamentare secondo una “alternativa globale” all’attuale classe politica. Lo “spirito del ‘94” sta diventando ora lo slogan di un neoberlusconismo anti-berlusconiano prospettando un “Berlusconi buono” come ha detto, paventandolo, Massimo D’Alema.
Non è un fenomeno da sottovalutare. Le crescenti campagne sulla “casta” e i “costi della politica” si intrecciano con le inchieste giudiziarie che ormai da mesi, quotidianamente, mettono sotto accusa Pd e Pdl e stanno ammaccando i vertici sia di maggioranza sia di opposizione.
Fin qui lo sfondo. Esiste o no un terreno fecondo? Indubbiamente nel rinverdire il clima ’92-’94 c’è il fatto che l’agitazione giudiziario-mediatica ha come base un generalizzato nervosismo della “Business comunity” che in Italia teme per il proprio avvenire, una perdita di terreno nella competitività, il profilarsi di un netto ridimensionamento.
Nel ’92-’94 si era nel clima della “Fine della Storia” e l’inutilità della politica e dei suoi “costi” era associata a una grande torta da spartirsi a portata di mano in piena tranquillità: le privatizzazioni.
Oggi il clima non è quello di un’abbuffata , ma di una carestia, nel quadro di una globalizzazione che sta ridimensionando l’Occidente e che vede in particolare un’Europa sempre meno stabile e solidale. Il recente attacco di Kohl alla Merkel per “tradimento” dell’europeismo è un segnale eclatante.
Va quindi considerato con molta attenzione il discorso di Napolitano a Rimini e come egli abbia dato una lettura negativa del ventennio della cosiddetta “Seconda Repubblica”: «È un fatto – ha affermato Napolitano – che da due decenni è in aumento la diseguaglianza nella distribuzione del reddito dopo una marcia secolare in senso opposto e lo stesso può dirsi del tasso di povertà. Si impone perciò una svolta».
Alla denuncia del declino economico e sociale avvenuto con la “Seconda Repubblica” si salda quindi quella del degrado politico: «Non fatevi condizionare – ha detto ai giovani ciellini – da quel che si è sedimentato in meno di due decenni: chiusure, arroccamenti, faziosità, obiettivi di potere e anche personalismi dilaganti in seno ad ogni parte».
Alla sinistra Napolitano rimprovera l’antiberlusconismo ovvero l’incapacità del post-comunismo di dar vita a un partito socialdemocratico e cioè l’incapacità dell’attuale sinistra italiana (di D’Alema, Veltroni e Bersani) di agire mettendo “paletti” a sinistra. Una sinistra strattonata dai centri sociali, alla mercé della piazza giustizialista ed estremista, non è in grado di essere credibile in campo internazionale, né di essere chiamata alla guida del Paese da una comunità che ha bisogno di scelte drastiche e anche cosiddette “impopolari” se non vuole sprofondare nel continuo degrado e declassamento.
Ma, al tempo stesso, il Capo dello Stato guarda con preoccupazione il “salto nel buio” nel segno di discese in campo sull’onda di campagne di discredito generalizzato della “classe politica”. «Attenzione – ha ammonito nei giorni scorsi il Presidente della Repubblica – all’uso dilagante di certe espressioni come casta politica». L’”antipolitica”, l’attacco generalizzato alla “casta”, rischia di aprire scenari con pesanti “costi” per la democrazia.