I tagli agli enti locali – Comuni e Regioni – previsti in manovra finanziaria produrranno effetti pratici sulla vita dei cittadini, il più visibile dei quali sarà il decremento dei servizi pubblici basilari e del sistema di welfare. «Tradotto: significa un impoverimento oggettivo delle persone, specie del ceto medio», spiega, interpellato da ilSussidiario.net Luigino Bruni, docente di Economia Politica presso l’Università Bicocca di Milano. Nel dettaglio, sono previsti 4,2 miliardi di tagli, che diventeranno 6 se la Robin tax non dovesse sortire i benefici previsti. Secondo i calcoli dell’Anci, si potrebbe verificare in media una stangata di 136 euro all’anno a residente, con esborsi molto superiori in alcune città, come Venezia (327 euro all’anno), Napoli (236), Milano (227), Torino (220) e Roma, (172).



«Il benessere e la ricchezza di una persona, all’interno delle democrazie, sono dati non solo dal Pil o dal reddito procapite, ma da questi elemetni sommati ai beni che si consumano. Ad esempio, disporre di mille euro in un Paese in cui non esistono mezzi pubblici, un sistema di welfare e servizi ai cittadini non è la stessa cosa che disporne in un Paese in cui tali risorse ci sono». Va da sé che, quindi, questa manovra ci rende meno ricchi.



«Nel momento in cui l’amministrazione pubblica offre servizi di qualità inferiore ci impoveriamo tutti. La ricchezza, infatti, non è una questione individuale, ma pubblica. I beni pubblici sono parte della ricchezza di un individuo, perché hanno a che fare con l’appartenenza comunitaria».  I più penalizzati, inoltre, saranno i più poveri. «Se per garantire i servizi di welfare minimi occorre aumentare i biglietti degli autobus e dei tram o le tasse scolastiche, l’effetto sul ceto più debole è evidente». Ci saranno, inoltre, ripercussioni a livello di sistema: «I tagli sottraggono risorse alle istituzioni che gestiscono i territori, impoverendoli, e allontanando dai luoghi del vivere quotidiano le facoltà decisionali. E’ un modo per accentrare, poteri e competenze». Alla faccia del federalismo. «Ovvio – continua il professore  – che ci siano degli sprechi che vanno eliminati. Abbiamo messo in piedi un sistema burocratico elefantiaco. Ma ridurre le risorse agli enti locali implica un risparmio solo sul breve periodo. Oltre al ceto povero, infatti, si impoverisce anche quello medio».



Il che, scatena una reazione  a catena: «si produce un inversione della domanda e dei consumi, con un decremento, quindi, del livello di produttività e del reddito nazionale. Impoverire chi già non è ricco è una scelta poco etica e poco economica perché un Paese in cui si impoverisce  il ceto medio-basso è un Paese che non si sviluppa».

Secondo il professore, alcuni settori, in particolare, saranno colpiti dai tagli: «i servizi di base, i mezzi pubblici, la manutenzione delle strade, dei parchi, il welfare e  servizi alla persona». La manovra è quella che è, e i tagli rimangono. Tuttavia, resta la possibilità di salvare il salvabile: «Ci troviamo di fronte anni di grande scarsità di risorse pubbliche; non rimane, quindi, che attivare quelle private. Oggi l’idea dominante è che il pubblico propone il bando, e  il privato vi partecipa; bisogna invertire la tendenza, immaginando un privato sociale più creativo, meno dipendente dal pubblico, e in gado di attivare risorse senza aspettarle dal pubblico». Gli enti locali, in sostanza, si dovranno muovere in un’ottica imprenditoriale. «Dovranno farlo – conclude – istituendo alleanze tra imprenditori, amministrazione pubblica e società civile che insieme gestiscano i profitti».