Sono da tre anni deputato e una cosa mi ha colpito da subito in Parlamento, quanti pochi parlamentari conoscono la materia di cui parlano. Il tema dell’esenzione Ici per la Chiesa cattolica ne è l’ultimo esempio. Dispiace dover leggere ed ascoltare falsi giudizi frutto di manipolazione dei fatti attorno al servizio che la Chiesa e molte sue opere, svolge a vantaggio di tutti, per il bene comune a sostegno delle fasce più deboli della società.
Mi dispiace che questa manipolazione arrivi anche da alcuni isolati e miopi esponenti del centrodestra, ma non posso non notare che la sinistra, dal partito di Fini a quello di Bersani, in maniera quasi corale ha lanciato il grido rivolto alla Chiesa di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’ICI.
Sono tutte posizioni che partono da una posizione ideologica, contro la Chiesa e ciò che rappresenta, e non fanno i conti con la realtà di ciò che prevede la legge ed è pure una posizione che fa a cazzotti con il buon senso perché non si conosce neppure cosa viene fatto in questi locali esenti ici.
Per orientarsi nella complessa vicenda delle esenzioni ICI bisogna partire dal 1992 quando Presidente del Consiglio era Giuliano Amato, anno di nascita dell’ICI. Una norma vecchia di quasi 20 anni su cui finora nessuno ha avuto mai da ridire, nemmeno il centrosinistra quando era al governo. La legge istitutiva del tributo stabilisce non solo chi deve pagare, ma anche chi è esentato. Non sono soggetti al pagamento dell’ICI gli immobili degli enti pubblici come le scuole pubbliche, i musei, le biblioteche, gli archivi, e tra l’elenco degli esenti ci sono anche gli edifici di culto della Chiesa cattolica e di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato. Sono quindi esenti le chiese e i locali annessi dove si fa catechismo o la casa canonica, così come quelli di tutte le confessioni religiose che hanno stipulato un’intesa con lo Stato. Sono esenti, inoltre, quegli immobili degli enti non commerciali cioè senza fini di lucro, che siano esclusivamente destinati a una serie di finalità elencate sempre dalla legge del 1992 ovvero attività culturali, ricreative, sportive, assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche e ricettive. In questo gruppo rientrano anche, ma non solo, gli enti ecclesiastici, questa categoria comprende infatti tutti gli enti del terzo settore, le organizzazioni no-profit, le onlus, le cooperative sociali, gli enti delle altre confessioni religiose. Gli enti ecclesiastici rappresentino il 4,3% del numero complessivo di questi soggetti che sono esentati, ma come si vede dal dibattito il problema sembrano essere solo questo 4% degli immobili esentati.
Questo vuol dire che non pagano l’ICI gli ospedali e le case di cura o di riposo, le scuole non solo facenti capo alla Chiesa cattolica, ma a uno qualunque degli organismi esentati per legge compreso lo Stato italiano. E questo vuole dire anche che gli enti ecclesiastici hanno sempre pagato l’ICI per gli appartamenti di proprietà dati in affitto a terzi, oppure per i locali affittati ad attività commerciali. Più complessa è invece la definizione dell’attività ricettiva. Un conto sono le case adibite ad ospitare i pellegrini o le case adibite a campi scuola che rientrano nella categoria esentata, diversamente accade per le attività alberghiere vere e proprie. Nel caso limite di immobili utilizzati in parte per una finalità esente, in parte non valeva la regola della divisione catastale e se questo non era possibile l’ICI si pagava su tutto l’immobile.
Trattandosi di una tassa comunale in questi anni si sono avute singole controversie interpretative. La difficoltà nasce in seguito a una sentenza della Cassazione del 2004 che fu chiamata a decidere sull’attività di ospitalità svolta da un istituto religioso, la diatriba riguardava l’attività: ricettiva, e dunque esente, oppure alberghiera e quindi non esente. La Corte, con tale sentenza, ha introdotto un nuovo requisito, non previsto dalla legge del 1992, dove si afferma che l’attività deve essere oggettivamente non commerciale. La sentenza ha creato tutta una serie di difficoltà su cosa significasse “oggettivamente non commerciale”, con il rischio che questa regola si applicasse poi solo per gli enti religiosi. Ad esempio, se l’attività deve essere oggettivamente non commerciale, come si può gestire una scuola o un ospedale o una casa di riposo senza porre in essere operazioni commerciali visto che questi enti sono convenzionati anche con enti pubblici?
Adesso sta passando l’idea che la Chiesa cattolica abbia un privilegio. Qualcuno sta facendo passare che è la ricca Chiesa romana e vaticana che gode di un privilegio insopportabile ma i fatti dimostrano che non è così. Lo Stato e tutte le fedi che hanno firmato il concordato sono esenti e l’esenzione è per opere di carità. Per le caritas, per le opere per indigenti, per giovani in difficoltà per accoglienza di ragazze madri, per scuole paritarie, per i locali dove si fa l’oratorio o il catechismo, per le mense dei poveri, per i locali dove si raccolgono i vestiti, per alcuni locali delle Misericordie, per le case di riposo per anziani, per i centri di riabilitazioni per persone affette da varie patologie, locali che raccolgono generi alimentari da distribuire ai più poveri. Sono tutte opere che fanno un chiaro servizio pubblico, fanno efficacemente un lavoro per tutti, per la collettività. Per questo non solo non devono pagare l’ICI ma dovrebbero avere molti più riconoscimenti, anche economici, da parte dello Stato perché collaborano per il bene comune, cioè il bene di tutti.