Il declassamento dell’Italia da parte delle agenzie di rating era nell’aria. Una decisione temuta, ma “attesa”, come hanno confermato dal Tesoro. Un brutto colpo, ad ogni modo, per la maggioranza, non solo perché  era prevista fra circa un mese per mano di Moody’s, ma soprattutto per le motivazioni addotte da Standard & Poor’s. «Ci aspettiamo – recita il rapporto – che la fragile coalizione di governo e le differenze politiche all’interno del Parlamento continueranno a limitare la capacità di risposta del governo». Valutazioni «viziate da considerazioni politiche e dettate dai retroscena dei quotidiani», ha replicato in una nota il presidente del Consiglio.
«Non sarà oro colato – dice il politologo Gianfranco Pasquino a IlSussidiario.net –, ma non si può negare che sia un’evidente bocciatura della politica dell’esecutivo. I giornali non c’entrano. Le agenzie hanno consulenti politici in grado di spiegare ciò che, tra l’altro, è molto facile da capire».



Quali conseguenze politiche bisogna attendersi secondo lei?

Ci troviamo davanti a un segnale importante: un’autorevole agenzia di rating dice che il nostro governo non è credibile anche se la sua manovra è stata approvata, in parte, dall’Unione europea.  È un giudizio politico di cui un Parlamento e un governo, in condizioni normali, terrebbero conto. La maggioranza numerica di Berlusconi sembra però intenzionata a resistere nel palazzo.



Il riferimento alle divisioni del Parlamento è una bocciatura di tutta la nostra classe politica?

Non credo, a mio avviso Standard & Poor’s lascia intendere di conoscere molto bene le divisioni interne alla maggioranza. Sa benissimo che, ad esempio, dentro il Pdl non esiste solo Tremonti, ma anche i liberali alla Antonio Martino, oppure che nella Lega, al di là delle rassicurazioni, Maroni la pensa diversamente da Calderoli, Bossi e dal “cerchio magico”.

Secondo Stefano Folli, la situazione è sempre più logorata, ma non si intravedono sbocchi politici.

È vero, ma esistono sempre gli “incidenti di percorso”. Domani, ad esempio, si vota per l’arresto di Milanese. In generale poi non si può escludere del tutto che il Presidente del Consiglio non faccia ciò che l’opposizione gli chiede da tempo. Non tanto un passo “indietro” o “in avanti”, quanto un passo “fuori”. Una scelta saggia, a mio parere, sia per sé che per la sua coalizione.

Se non si vedono vie d’uscita non è anche perché manca un’alternativa credibile?



Penso proprio di sì. Dal centrosinistra c’è arrivata soltanto la cartolina di Vasto con Bersani, Di Pietro e Vendola. Qualcuno però gli dica che anche uniti non hanno i voti per governare.

La finanza internazionale secondo lei gradirebbe un governo tecnico o una maggioranza diversa?

Questi soggetti non esprimono un gradimento, si limitano soltanto a dare un punteggio. Detto questo, è ovvio che i nostri interlocutori internazionali preferirebbero un primo ministro che sappia interloquire in maniera nobile con i suoi colleghi e che non dica di governare a tempo perso…

Dobbiamo comunque considerarci un paese commissariato?

Magari lo fossimo.

Cosa intende dire?

Che avrei in mente un bel terzetto di commissari: Schroeder, Blair e Dominique Strauss-Kahn. Sono socialisti, sanno fare i conti, vincere le elezioni e pure governare.

E l’Italia, non ha il suo Tony Blair?

No, purtroppo chi poteva diventare socialdemocratico ha avuto la sciagurata idea di costruire il Partito Democratico. Per il resto l’uomo migliore del Paese sta per andare alla Banca centrale europea dove rischia di non poter più comprare obbligazioni e titoli di stato italiani.

Nemmeno lei perciò si attende un “colpo d’ala” della sinistra?

L’unico possibile è che se ne vadano tutti quei dirigenti che hanno impedito a questo paese di avere un partito socialdemocratico. Per il resto ogni altra mossa mi sembra davvero difficile. Servirebbe uno schieramento più largo, ma Casini non sembra disponibile, Rutelli va per conto suo e Fini vuole rifare la destra.
Purtroppo l’unico vero socialdemocratico sta facendo il Presidente della Repubblica. E c’è troppo bisogno di lui al Quirinale per spostarlo da lì…

(Carlo Melato)