Per il premier Silvio Berlusconi è stato chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito della vicenda sull’intercettazione della telefonata tra Fassino e Consorte. All’epoca della tentata scalata di Unipol a Bnl, l’allora segretario dei Ds pronunciò, interloquendo con l’allora numero uno di Unipol, la famosa frase: «abbiamo una banca». E’ stato il gip di Milano, Stefania Donadeo a imporre al pm Maurizio Romanelli di chiedere il rinvio per il premier.

«Un’anomalia che capita una volta su mille: la Procura chiede l’archiviazione e il Gip dispone il rinvio a giudizio; una delle tante che i magistrati, ormai di consueto, adottano quando hanno a che fare con Berlusconi», commenta. L’accusa per il presidente del Consiglio è di concorso in rivelazione d’ufficio e riguarda la pubblicazione della conversazione su Il Giornale, di proprietà del fratello Paolo, quando l’intercettazione era ancora secretata. Per la stessa vicenda sono stati già condannati Fabrizio Favata e Roberto Raffaelli; il primo mise in contatto Berlusconi con Raffaeli. Quest’ultimo gestiva la Rcs, la società che effettuava intercettazioni per conto di svariate procure. Anche per Paolo Berlusconi, editore del quotidiano di Via Negri, è stato chiesto il rinvio a giudizio, mentre l’allora direttore Maurizio Belpietro è stato iscritto nel registro degli indagati. Tanto scompiglio per un’intercettazione. Eppure, ogni giorno i giornali ne pubblicano e bizzeffe, senza tanti sconvolgimenti. Non ci sono indagati, né processati. Dove sta la differenza?

«Non c’è niente di diverso. Di solito non si conclude mai niente. In questo caso hanno, semplicemente, trovato il colpevole. Ci si son messi d’impegno, hanno indagato, e hanno trovato chi ha passato le carte.  Con l’aggiunta della pagliacciata del Gip che, nonostante la Procura stessa avesse chiesto l’archiviazione per Berlusconi, ha invocato l’imputazione coatta. Il che accade rarissimamente», è la spiegazione che dà Zurlo. In sostanza, «che le intercettazioni le faccia uscire il magistrato, l’ufficiale della guardia di finanza innamorato della giornalista o l’agenzia che le sbobina, poco conta; il sistema è fatto in modo tale che, tecnicamente, ci sia sempre una spiegazione per insabbiare le indagini», aggiunge Zurlo.

«Il problema – continua, correggendo il tiro, – è che noi possiamo individuare tutte le motivazioni tecniche che vogliamo. Ma le ragioni tecniche si possono fare facilmente soggiacere a quelle di natura strumentale e ideologica». Tutto dipende, in pratica, dalle intenzioni del magistrato.

«Ci sono indagini in cui ci si butta a  pesce, con mezzi, risorse, perquisizioni, pedinamenti, tabulati, intercettazioni, foto e altre che sono lasciate languire». Un esempio chiarisce il concetto: «per sei anni il padre di Fabio Tollis, uno dei ragazzi uccisi dalle Bestie di Satana, non fu, praticamente, neanche ricevuto dai Pm. Dicevano che il ragazzo, scomparso nel ’98, dopo aver frequentato un pub di Porta Romana, a Milano,  probabilmente era scappato di casa. Fu ritrovato cadavere nel 2004, assieme a Chiara Marino.  I magistrati, fosse dipeso da loro, avrebbero archiviato le indagini».

 

(Paolo Nessi)