Emanuele Macaluso è stato un grande dirigente comunista. Ed è giustamente fiero di appartenere a quella storia, ricca di contraddizioni, ma anche di passione politica e civile. In più, Macaluso ha operato nel Pci per gran parte della sua vita in Sicilia, in una zona d’Italia dove essere comunista significava restare ai margini della società e, in un clima di lotta esasperato, si poteva tranquillamente rischiare la vita. Personalmente, quando penso alla militanza di Macaluso, la associo a due grandi comunisti, entrambi di origine meridionale e quindi concentrati, tra le altre cose, sulla “questione meridionale”: Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil nel dopoguerra, e Giorgio Amendola, il grande eretico del Pci negli anni Sessanta. Di Vittorio è l’unico sindacalista che non parlasse “sindacalese”, perché aveva come obiettivo principale di farsi capire da tutti. Amendola era l’esempio dell’innovazione in politica, il leader solitario di una rinascita della sinistra italiana sotto l’insegna del riformismo. Tutti e tre, nonostante i legami ideali con l’Unione Sovietica, si sono battuti per la gente povera, per chi lavora la terra o nella fabbrica. E si sono battuti per la giustizia sociale e per la libertà, non solo delle masse, ma anche quelle individuali. Non è a caso che proprio a Macaluso, oggi direttore de Il Riformista, viene spontaneo chiedere, nell’intervista in esclusiva a IlSussidiario.net, se la libertà, anche quella formale e borghese, non trovi limitazioni ormai insopportabili.
Scusi, Macaluso, ma lei che ne pensa di questa valanga di intercettazioni telefoniche? Lasciamo perdere il contenuto e soprattutto il personaggio più bersagliato da questa ondata di intercettazioni. Ma, di fatto, che cosa rappresentano in una società moderna come la nostra?
Uno dei più grandi giuristi italiani, un magistrato, ha detto che ormai le intercettazioni telefoniche servono a capire come è fatta la nostra società, più che a onorare la giustizia. Ormai con questi controlli sconfiniamo nella sociologia. Possiamo sapere di tutto: dai gusti personali in qualsiasi aspetto della vita, alle aspirazioni di tanti giovani, al modo di interpretare il ruolo dell’imprenditore. Si guardi al proposito la vicenda di Finmeccanica. Diciamo così, che queste intercettazioni appaiono come grandi inchieste sociali.
Non le sembra che sia un forma di controllo sulle persone che limita il diritto stesso di libertà?
Purtroppo ormai è così in tutto il mondo, non solo in Italia. Mi capita spesso di guardare i film polizieschi americani e c’è sempre il momento della ricostruzione fatta dagli investigatori, che guardano la moviola delle telecamere piazzate nella zona del delitto, del reato commesso. Ad esempio il controllo delle telecamere riguarda non solo le banche, ma edifici, luoghi pubblici, zone precise di una città o anche di un piccolo centro urbano. Anche questa è una forma di controllo che sta diventando patologica.
C’è un ulteriore argomento in fatto di controlli. Parliamo della tracciabilità bancaria, attraverso bancomat, carte di credito, bonifici e una serie di operazioni che a volte appaiono incomprensibili.
La tracciabilità bancaria si sta addirittura inasprendo o estendendo per la lotta all’evasione fiscale. Qui mi tocca fare ancora un riferimento all’America. Quando ci sono andato, in albergo o in un altro posto, la prima cosa che dovevo esibire era la carta di credito. Il denaro contante sembrava imbarazzasse tutti.
Ma, di fatto, tutto questo porta a una limitazione di libertà. A una limitazione delle libertà individuali.
C’è un conflitto nelle società moderne tra l’esigenza di riservatezza e la diffusione di strumenti di controllo. Le società moderne vivono una contraddizione che non riescono a risolvere. Così come la tracciabilità bancaria è una richiesta per colpire chi evade le tasse, altri strumenti di controllo nascono dalla richiesta di maggiore sicurezza. Viviamo una contraddizione. Del resto le società moderne, le democrazie moderne, non sono basate più solo sul consenso, ma anche sulle richiesta di controllo da parte dei cittadini. A me viene in mente la riservatezza della corrispondenza. Quando scrivevo una lettera e la mettevo in una busta chiusa e sigillata, avevo la mia riservatezza. Oggi, sia la telefonata che stiamo facendo io e lei, sia un sms, sia una mail sono tutte controllate. E’ persino superfluo dirlo. La corrispondenza un tempo era la lettura della lettera che ricevevo o avevo inviato nella massima riservatezza, che era inviolabile.
Mi permetto di ricordare alcune cose, che guadavamo dall’Italia con una certa ammirazione. Gli inglesi che avevano il privilegio di non avere un documento d’identità. Gli olandesi che si misero in sciopero, per protesta contro l’introduzione del documento d’identità obbligatorio, perché gli ricordava l’occupazione nazista. Si può dire, alla fine, che, con tutti questi controlli, non solo la riservatezza, ma un pezzo di libertà è volata via?
Non c’è dubbio che nelle società moderne, proprio per le contraddizioni che vivono si è meno liberi. Oggi la libertà viene messa in relazione a esigenze di sicurezza. E’ un problema che al momento non è risolto.
(Gianluigi Da Rold)