L’asse Bersani-Vendola-Di Pietro battezzato a Vasto fa ancora discutere il Partito Democratico. «Se il Pd sceglie di imboccare la strada delle alleanze a sinistra uno come me non può essere di nessuna utilità», aveva avvertito Marco Follini. La “foto di gruppo” scattata alla festa dell’Idv potrà anche ricordare la “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria a un esponente del calibro di Sergio Chiamparino, ma è altrettanto vero che un’altra fetta del partito continua a considerarla l’unica strada percorribile. «A mio avviso – dice il senatore Enrico Morando a IlSussidiario.net – il dibattito sta compiendo dei giganteschi passi all’indietro. Se continuiamo a dividerci tra chi vuole allearsi con il centro e chi con la sinistra non andiamo da nessuna parte».

Mi scusi, esistono delle alternative?



Certamente, io resto convinto del fatto che la strada giusta non sia quella di un partito “regista” delle alleanze, ma di un soggetto politico a “vocazione maggioritaria”.

L’impostazione veltroniana non ha già dimostrato di non funzionare?

È un’idea della funzione politica che il Pd deve avere, al di là dei suoi protagonisti. E comunque, già durante la gestione di Walter Veltroni criticai l’unica alleanza che facemmo, proprio con Antonio Di Pietro. In quella fase infatti avremmo dovuto uscire dall’esperienza dell’Unione nella logica dell’affermazione di un grande partito riformista.



La soluzione per il Pd è quindi quella di non fare alleanze?

Non ho detto questo. Il nodo di fondo resta la forza e la credibilità della proposta del Pd per il futuro del Paese. Se il partito riacquista la sua vocazione  e prova davvero a conquistare i delusi dall’esperienza dei governi di centrodestra, con un consenso superiore al 30% può costruire delle alleanze coerenti. La credibilità delle stesse dev’essere però garantita dal Pd, un partito che nel suo campo è pacificamente egemone.

Il lavoro di Bersani sta andando nella direzione opposta?  

Il segretario ha vinto il congresso proprio contestando questa impostazione e indicandone una più tradizionale: il Pd sarebbe dovuto diventare il “tessitore” della rete delle alleanze. In un secondo momento però, anche senza ammetterlo, mi è sembrato proprio che Bersani e la sua maggioranza interna fossero tornati all’idea originaria. Non si spiegavano altrimenti tutta una serie di posizioni.

A cosa si riferisce?



Quando ad esempio Rosy Bindi afferma che il segretario del Pd è il candidato naturale dell’intera coalizione, la premessa di questo ragionamento non può che essere la “vocazione maggioritaria”. Un partito che si concepisce soltanto come “regista” non può certo avanzare queste pretese. 

E oggi, quale strada da seguendo il partito?

In questo momento la contraddizione è evidente. Il Pd torna a concepirsi come “federatore del centrosinistra”, ma ammette di non essere in grado di federarsi con la sinistra senza rinunciare al centro, o viceversa. Significa ammettere di non essere in grado di svolgere la funzione che ci si è scelti.

Casini però non sembra disposto ad allearsi con la sinistra. Per il Partito Democratico il percorso a questo punto non è obbligato?
 
Ripeto, vorrei un Pd all’offensiva, che prova a conquistare gli italiani delusi da Berlusconi. Le alleanze vengono dopo. Se partiamo da quelle le difficoltà saranno evidenti, come questa discussione dimostra.
D’altra parte anche quando si parla di Vendola le differenze non mancano. Se per il leader di Sinistra e Libertà inserire il pareggio di bilancio in Costituzione è “demenza senile” forse è il caso di discuterne. L’abbiamo proposto anche noi. Cosa facciamo? Ci alleiamo senza risolvere il problema?

Riguardo invece alla crisi della maggioranza, anche lei, come Bersani, chiede un “passo indietro” del premier?

Se si potesse arrivare al 2013 con un “governo del presidente” dotato di un ampio consenso sarebbe la soluzione migliore. Servirebbe però una personalità gradita sia al centrodestra che al centrosinistra che si impegni a non partecipare alla prossima competizione elettorale.
Altre soluzioni non ne vedo. Berlusconi è parte del problema dell’Italia e non può partecipare alla sua soluzione.

(Carlo Melato)