«Un incontro di lavoro molto positivo». Così alcune fonti del Tesoro hanno definito il vertice di due ore che si è tenuto ieri a palazzo Grazioli tra il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Una riunione attesa, dopo lo “strappo” di settimana scorsa consumatosi per l’assenza del titolare di via XX Settembre durante il voto alla Camera sull’On. Marco Milanese, ex braccio destro del ministro. «Era evidente da entrambe le parti la volontà di raggiungere una mediazione, anche se difficile – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net –. Questo non significa che i termini di questo riavvicinamento siano buoni o che da oggi in poi avremo una politica economica efficace, perché tutto ciò dipenderà da molti altri fattori».
 
E qual è, a suo avviso, il bilancio degli incontri del ministro Tremonti (prima con Umberto Bossi e poi con il Capo dello Stato) che hanno anticipato la riunione con il premier?



Diciamo che, con il vertice di via Bellerio, Tremonti ha voluto crearsi una “rete di protezione”. Finché la Lega Nord lo sostiene, infatti, resta inamovibile. E questo, come ovvio, impone a Berlusconi lo sforzo di cercare un compromesso.
Per quanto riguarda l’incontro al Quirinale, invece, resta ancora da sciogliere il nodo relativo al nuovo governatore di Bankitalia. Il ministro dell’Economia, infatti, continua a sostenere la candidatura di Vittorio Grilli, mentre l’establishment di Bankitalia (e un’area politica che arriva fino a Silvio Berlusconi) punta su Fabrizio Saccomanni.



Si può dire che, dopo le parole della Cei, Tremonti non rappresenta più la principale preoccupazione del governo?

Non credo che il ministro dell’Economia sia il problema numero uno della maggioranza, a prescindere dai giudizi espressi della Chiesa. Ovvero, Tremonti cade se salta l’asse tra Berlusconi e Bossi. A quel punto però, il problema riguarda l’intero governo, non soltanto uno dei suoi ministri.
Ad oggi, dobbiamo limitarci a registrare che l’asse sta tenendo. Le parole della Cei, invece, aprono una questione diversa e politicamente molto importante.

Quale?

La Chiesa, come è stato abbondantemente scritto, si sta ponendo seriamente il problema del dopo. Siamo alla fine della stagione di Silvio Berlusconi, ormai lo dicono tutti, ma la Chiesa anticipa i tempi della politica. Ha infatti a cuore la stabilità e lo sviluppo dell’area moderata di questo Paese e lavora per un maggiore impegno del mondo cattolico che possa aprire una nuova stagione basata sul rispetto istituzionale e su un maggiore decoro.



Tornando alla stretta attualità, oggi si vota la sfiducia al ministro Romano. La Lega ha rassicurato i propri alleati, scontentando nuovamente la base. Quali sono secondo lei le motivazioni di questa scelta?

Il Carroccio ha l’esigenza che il governo vada andare e non è pronta a cambiare spartito. Si può anche immaginare che ci sia sotto la logica del do ut des, ma il punto politico resta un altro. Il patto Berlusconi-Bossi per ora continua a reggere. Votare la fiducia a Romano potrà essere anche una soluzione indigesta, ma chi guida la Lega non ha intenzione di cambiare scenario.

Anche nel Pdl i segnali di nervosismo non mancano.

È la naturale conseguenza della fase di profonda stagnazione politica che descrivevo prima. C’è un leader che sta completando l’ultimo segmento di un cammino politico durato quasi 18 anni e all’orizzonte ancora non si vedono i segni di come potrà evolvere la situazione. Di conseguenza è normale che, davanti a un premier che continua a seguire la logica del “dopo di me il diluvio”, ci siano diverse figure che invece si pongono il problema di come gestire questa fase terminale e di come costruirsi una prospettiva politica diversa.

Da ultimo, in uno scenario così instabile, il referendum sulla legge elettorale può incidere sul quadro politico, modificando magari la predisposizione alle del Terzo Polo?

Non credo che in questa fase sia possibile riformare la legge elettorale attraverso negoziati politici. L’unico aspetto concreto di questa questione sarà appunto il referendum. Probabilmente però i partiti si muoveranno in questo senso solo quando diventerà una prospettiva davvero ineluttabile. A quel punto dipenderà molto da come saranno i rapporti politici nella primavera del 2012 e, soprattutto, come arriveremo a quella data.

(Carlo Melato)