“La lettera della Bce sulla manovra pubblicata oggi sul Corriere della Sera dimostra che sia i governi di centrodestra sia quelli di centrosinistra sono del tutto incapaci di assumere provvedimenti che andrebbero invece presi immediatamente. Qualsiasi sia il colore degli esecutivi in Italia, c’è sempre qualcuno che li tiene in ostaggio”. Lo afferma il senatore del gruppo misto, Nicola Rossi, che intervistato da Ilsussidiario.net commenta così la missiva di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi indirizzata al premier Silvio Berlusconi.



Per l’economista, “l’attuale maggioranza avrebbe potuto tranquillamente intervenire sulle pensioni. Se non lo ha fatto, è perché al suo interno c’è una forza fondamentale che è radicalmente contraria. Così come 15 anni fa il governo era ostaggio di Sergio Cofferati, oggi lo è nei confronti di Umberto Bossi”. Ma aggiunge l’ex esponente del Pd: “Parliamoci chiaro: se noi oggi avessimo al governo l’alleanza Bersani, Di Pietro e Vendola ci troveremmo di fronte esattamente agli stessi problemi. Con la sola differenza che le resistenze al cambiamento poste dalla Lega nord, proverrebbero da Sinistra e libertà e componenti del Pd. Da questo punto di vista la vera tragedia italiana è questa mancanza di una reale alternativa. Alla fine della storia tanto gli uni quanto gli altri appaiono del tutto incapaci di assumere quei provvedimenti che andrebbero presi immediatamente, perché la situazione nonostante qualche giorno di calma continua a rimanere molto delicata”.



Rossi è del resto favorevole a una riforma delle pensioni: “Occorre intervenire affinché una serie di trattamenti particolarmente generosi offerti in passato quando ciò era possibile, vengano oggi interrotti perché non ce li possiamo più permettere. E mi riferisco in particolare all’anzianità e all’età pensionabile femminile”. Sempre la Bce invita il governo a compiere una “revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”. L’economista, che ha sostenuto attivamente la proposta di Pietro Ichino sul contratto unico, trovo anche questo punto condivisibile.



“Noi abbiamo un mercato del lavoro diviso in due, da una parte chi è dentro e dall’altra chi è fuori – sottolinea Nicola Rossi -. E questo impone ai più giovani condizioni lavorative francamente inaccettabili. E’ arrivato il momento in cui tutti sul mercato del lavoro devono essere uguali, e questo implica il fatto di rivedere le garanzie che attribuiamo ad alcuni, per consentire ad altri di godere di posizioni di pari opportunità”.

 

Per Trichet e Draghi è necessaria inoltre “una riduzione significativa del pubblico impiego, se necessario riducendo gli stipendi”. Per il senatore, questo andrebbe attuato con “pensionamenti anticipati in alcuni comparti del pubblico impiego. Anche per poter svecchiare la pubblica amministrazione: chi non ha mai lavorato al computer per tutta la sua vita, dubito che possa incominciare a farlo quando mancano uno o due anni alla pensione”. E’ destinata a sollevare un vero e proprio polverone anche un’altra delle proposte della Bce, quella di “ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende”. Non a caso per Rossi “è un processo che alcuni stanno cercando di ritardare, ma che non può essere dilazionato ulteriormente. Occorre spostare l’enfasi dal contratto collettivo nazionale ai contratti aziendali, perché la produttività si forma nelle imprese. Ed è lì quindi che si può effettivamente ridistribuire a vantaggio degli stessi lavoratori”. Non piacerà sicuramente ai magistrati il passaggio della lettera in cui Trichet ricorda: “Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione)”.

 

Ma il senatore del gruppo misto si interroga: “Come è possibile che la pubblica amministrazione non adotti criteri che da decenni nel settore privato sono ovvietà? La pubblica amministrazione deve cominciare a valutare il proprio operato e a comportarsi di conseguenza nei confronti dei propri impiegati: è una cosa che va da sé. Certo i pubblici dipendenti la prima volta si rifiuteranno, la seconda pure, ma la terza i lavoratori migliori capiranno che la valutazione è compiuta nel loro interesse”.

 

(Pietro Vernizzi)