Dalla patria dei santi, dei poeti e dei navigatori, la legge ha espulso i primi. Lo prevede la manovra finanziaria, che ha deciso di accorpare tutte le feste patronali alla domenica. Per risparmiare. Anche se un emendamento del Pd, all’ultimo, ha salvato le feste civili del Primo maggio, del 25 aprile e del 2 giugno, che si terranno come è sempre stato. «In questa manovra, ci sono degli elementi che sembrano prodotti dalla cultura di un alieno che è sbarcato per la prima volta in Italia o realizzati all’insegna della pura propaganda», è il duro commento di Ermete Realicci, onorevole del Pd esperto conoscitore delle bellezze d’ogni risma che costellano il nostro Paese. Fuori tutti i santi, quindi, salvo San Pietro e Paolo, festa patronale di Roma prevista del Concordato, e ineliminabile, quindi, per via ordinaria.



Un’operazione che, secondo Realacci, si inscrive in una visione miope delle nostre terre. «Si era detto – dice – che si sarebbero tagliati decine di migliaia di posti della casta, e si è andati a ridurre la presenza di consiglieri e assessori in Comuni dove queste figure fanno, praticamente, volontariato. E pensare che, secondo l’Anci, il risparmio prodotto dalla loro riduzione ammonterebbe a soli 5-6 milioni di euro, mentre per il Senato, addirittura, potrebbe non esserci proprio». Va a finire che «da una parte – continua -, si rischia di produrre costi maggiori di quelli dismessi, dall’altra si va a impoverire realtà che hanno spesso nei sindaci e nei consiglieri dei punti di riferimento, dalla neve da spalare alla scuola o all’asilo».



Oltre al disbrigo delle faccende correnti, gli amministratori comunali svolgono un ruolo decisivo nella valorizzazione del territorio. «Dopodomani – è l’esempio di Realacci – è l’anniversario dell’assassinio di Angelo Vassallo, sindaco di un piccolo centro di 2.500 abitanti, Pollica. Se non ci fosse stato lui, oggi il paesino non vanterebbe una tale attrattiva turistica e non avrebbe avuto il grande sviluppo che ha avuto». Tornando ai santi, Realacci è convinto che l’idea dell’esecutivo, considerando la crisi che è in atto, è ancora più grave e in grado di creare non pochi danni: «imporre dall’alto vincoli sulle feste patronali rappresenta un’iniziativa a metà tra l’ottusità burocratica e la volontà punitiva nei confronti di un tessuto che in Italia è fondamentale», afferma.



Eliminare le feste patronali non è un gesto che urta soltanto (e già di per sé non sarebbe poco) il sentimento religioso popolare. «L’Italia potrebbe incrementare – spiega – la sua capacità turistica, elemento fondamentale per la ripresa, valorizzando quel tessuto di manifestazioni popolari che potenzialmente rappresentano un richiamo formidabile. Per non parlare del fatto che si tratta di un elemento di identità dei nostri territori. Penso, ad esempio, alla Luminara di Pisa, legata alla festa di San Ranieri, una della più belle manifestazioni che si tengono in Italia: abolirla è un errore che peserà su tutta la comunità». In sostanza, i santi fanno bene anche all’economia. «Se vogliamo uscire dalla crisi – conclude – dobbiamo affrontare le sfide reali; ma possiamo farlo solamente tenendo insieme il Paese, senza permettere che perda l’anima. L’Italia è forte quando è realmente se stessa. E del suo essere fanno parte anche queste iniziative».