Dal caso Milanese, al caso Romano, dal conflitto Berlusconi-Tremonti ai guai giudiziari del premier, le tensioni che attraversano la maggioranza rendono il quadro politico profondamente instabile. I principali commentatori non evitano di sottolineare, allo stesso tempo, la mancanza di un’alternativa e di uno sbocco politico. Il che rende, se possibile, la situazione ancora più incerta.
In questo scenario che peso può avere la discussione sulla legge elettorale, riaccesa dalla raccolta di firme per il referendum che scade oggi? Ne abbiamo parlato con il Professor Leonardo Morlino, Docente di Scienza politica all’Università di Firenze.



Professore, i referendari hanno superato quota 500mila firme in un solo mese contro la Legge Calderoli, al Senato, invece, restano al palo una trentina di disegni di legge sul medesimo argomento. Secondo lei, a questo punto, è più probabile una riforma della legge per via referendaria o per via parlamentare? 

Quella referendaria mi sembra l’unica possibile. Non mi pare, infatti, che ci siano le condizioni per raggiungere un accordo politico. Detto questo anche il referendum dovrà superare numerosi ostacoli prima di raggiungere il suo scopo.



Quali sono i più insidiosi secondo lei?

Innanzitutto bisognerà vedere se verrà ammesso dalla Corte costituzionale. Dopodiché per raggiungere il quorum il comitato organizzatore dovrà lavorare parecchio. Sono temi che solitamente non attirano l’elettorato, anche se è palpabile un certo malcontento nel Paese.

Sul primo punto c’è un dibattito in corso, anche tra giuristi: se il referendum boccia il “Porcellum” si torna automaticamente al “Mattarellum”?

Non sono un giurista, ma non bisogna esserlo per accorgersi di un macroscopico equivoco. L’annullamento infatti è una cosa, l’abrogazione un’altra. Il primo può far rivivere una legge precedente, la seconda invece lascia un vuoto legislativo.
Sotto questo punto di vista la Corte si è già espressa in modo inequivocabile: non è possibile lasciare un vuoto in tema di legge elettorale, altrimenti si azzoppa la democrazia. Per questi motivi sono convinto che la bocciatura del primo quesito sia abbastanza scontata, mentre il secondo dovrebbe passare. 



Ma la vera finalità di questo referendum secondo lei è quella di fare da pungolo alla politica?

A mio avviso questa campagna ha avuto principalmente tre finalità: eliminare l’ipotesi del referendum Passigli (che non piaceva a diverse forze politiche), dare spazio a personalità politiche oggi piuttosto in ombra, e, in terzo luogo, costringere la politica a operare una riforma.
Su quest’ultimo punto mi permetto però di rimanere piuttosto scettico. Dobbiamo andare molto indietro negli anni, infatti, per ritrovare una minaccia di referendum che sia davvero servita a cambiare una legge.

Un’eventuale modifica della legge elettorale inciderebbe comunque sulle prossime alleanze e, soprattutto, sulle scelte del Terzo Polo.

È vero. Penso però che esista già un’alleanza naturale.

A cosa si riferisce?

Parlo di un asse tra i due principali partiti a favore di una legge con una chiara tendenza bipolare, che taglierebbe fuori il Polo di centro. È nell’ordine delle cose, ma non si concretizza mai solo per una questione di equilibri politici. Anche oggi, infatti, c’è una forza minoritaria che condiziona il governo, la Lega Nord. E davanti a un’alleanza di questo tipo potrebbe anche aprire la crisi.

Seguendo il suo ragionamento l’impasse sembra difficilmente superabile. C’è il rischio che la prossima tornata elettorale sia ancora regolata dal Porcellum?

Se si rivelasse vera la previsione più accreditata delle elezioni anticipate nella primavera del 2012, il rischio diventerebbe certezza, anche perché in quel caso salterebbe il referendum. Detto questo, nessuno vieta al governo di cambiare la legge.
Ma se il quadro appare così ingessato una ragione c’è ed è molto semplice: il tema della riforma elettorale è un pretesto.

Cosa intende dire?

Al primo punto dell’agenda politica in questa fase non può che esserci l’economia. La crisi può ancora avere effetti dirompenti sulla nostra democrazia. Questo è il vero tema, il resto è solo un diversivo.

Intende dire che prima ci sarà il cambio di sistema e poi verranno riscritte le regole del gioco, non il contrario?

Esatto. D’altra parte ci ritroviamo in un vicolo cieco dopo un percorso durato più di vent’anni. Ci eravamo infatti posti l’obiettivo di una democrazia maggioritaria, efficiente e con una maggiore capacità decisionale, da raggiungere anche attraverso il decentramento. Le risorse per attuarlo però non ci sono più e siamo tornati al punto di partenza.
Solo quando capiremo dove andare e riprenderemo a camminare, potremo decidere quale legge elettorale ci potrà servire di più.

(Carlo Melato)

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