Non sono bastate ieri alla Corte costituzionale sei ore di camera di consiglio per sciogliere il nodo dell’ammissibilità dei quesiti referendari anti-Porcellum, a testimonianza di quanto la decisione sia delicata.
La discussione riprenderà oggi, in una giornata politica di verdetti da cui dipende anche il destino di Nicola Cosentino.
Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, analizza con IlSussidiario.net gli scenari che si potrebbero aprire a questo punto.  



Secondo lei, che cosa accadrebbe in questo particolare momento della politica italiana, segnato dal ”governo dei tecnici” e dalla guerra allo spread, se si dovessero affrontare i referendum?

Sarebbe un risultato clamoroso che, a mio avviso, provocherebbe un autentico terremoto nella politica italiana. Cerchiamo di ragionare un momento. In genere, le riforme elettorali si fanno alla vigilia di una consultazione. Questo è lo schema classico a cui siamo abituati.
Ora, in una situazione come questa, se fra tre mesi si andasse al referendum i partiti si rimetterebbero subito in moto e ci troveremmo come d’incanto in campagna elettorale. Difficile immaginare le conseguenze con il “governo dei tecnici” che sta aggiustando le cose in Italia e in Europa.



La previsione che va per la maggiore è che questi referendum siano dichiarati inammissibili anche sotto un profilo costituzionale. Tuttavia, in questo periodo in cui i partiti sembrano “disoccupati”, si potrebbe ugualmente, con più calma e ragionevolezza, lavorare sul superamento di questo “Porcellum”. Non crede che sia venuto il momento?

Certo, proprio questo dovrebbe essere lo schema da seguire. I partiti dovrebbero mettersi a un tavolo e trovare un accordo ragionevole. Lo stesso centrodestra non ha più interesse a mantenere questo Porcellum, perché si riferisce a una stagione politica superata. Questo sistema in vigore comporta un’alleanza obbligata tra Lega e Pdl, in una situazione che non mi sembra più quella di un anno fa e che credo difficilmente si ripeterà. Insomma, se i partiti sottovalutano l’impatto che ha questo governo e la svolta politica italiana che si può chiaramente vedere, non lavorando nemmeno a una riforma elettorale, perdono davvero l’ultimo autobus.



Nell’attesa di una decisione vediamo invece come si sta muovendo il governo. La credibilità in Europa è stata recuperata. Il colloquio con la Merkel è apparso per la prima volta come un rapporto di parità. Ma ci sono altri problemi da affrontare. Non crede?

Scusi se faccio una domanda io: come sta andando lo spread?

È sempre sopra i cinquecento punti, ma probabilmente tutti si sono ormai resi conto che non dipende solo dall’Italia e che i mercati continuano a scommettere sulla caduta della zona euro.

È vero, ma bisognerà preoccuparsene con la stessa dovuta attenzione. Torniamo però alla sua domanda. Per il governo Monti c’è un altro momento cruciale, un appuntamento che può scrivere la storia politica ed economica di questo Paese.

Si riferisce alla cosiddetta “seconda fase” e al pacchetto delle liberalizzazioni?

Esattamente. Credo che il governo debba agire bene e fare in modo che il pacchetto delle liberalizzazioni non si concentri solamente contro farmacisti e tassisti. Anche perché queste categorie si sentono quasi accerchiate. Scatta in alcuni momenti una sorta di  “clima di odio”, che poi alla fine si rivela sempre il peggior viatico per fare delle riforme.

Anche lei concorda sul fatto che le liberalizzazioni devono riguardare anche settori più corposi, diciamo così.

È evidente. C’è tutto un settore pubblico che non può essere “garantito”, non può essere al riparo dalla concorrenza, anche rispetto al prezzo delle tariffe che, in vari settori, pagano gli italiani. È un prezzo, in media, sempre più alto che negli altri paesi europei.

L’elenco dei settori da liberalizzare è molto lungo.

Lunghissimo: servizi, urbani, trasporti ferroviari e aeroportuali, tanto per citarne alcuni. Senza parlare di un caso di scuola classico nelle liberalizzazioni, quello della separazione della gestione, della rete di distribuzione di vari settori a partire da quelli energetici. È chiaro che non si può imporre liberalizzazioni se si ha qualche scheletro nell’armadio.

Come le sembra, su questo punto, la posizione dei partiti?

Il Pdl sembra che stia frenando. Mentre dovrebbe sfidare Monti su questo terreno, invitarlo a attuare le liberalizzazioni per vedere se riesce a ottenerle. Il Pd sembra più favorevole al governo, ma poi, come la Lega, quando si tratta di toccare quella che viene chiamata “la statalizzazione” locale, cioè tutta la rete delle aziende controllate dagli enti locali, c’è un evidente irrigidimento.
Ma la partita delle liberalizzazioni non si può giocare a scarto ridotto. Io penso e spero che Monti se ne sia reso conto.

C’è un principio che si può stabilire su questa materia che sta diventando piuttosto complessa e anche decisiva per un giudizio sul governo?

Certo che esiste. Lo Stato non può pretendere che il privato accetti la concorrenza, mentre il settore pubblico ne è immune. Questo è il punto chiave.

(Gianluigi Da Rold)

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