La bocciatura della Corte costituzionale dei referendum per modificare la legge elettorale, ma soprattutto il no della Camera alla richiesta di arresto di Nicola Cosentino, hanno riportato il sorriso sul volto dell’anziano, ma non ancora ex leader del centro-destra, Silvio Berlusconi.
Non a caso, ieri – in un aula della Camera dei Deputati elettrica come una bolgia infernale per il voto sull’ormai ex coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino (il quale si è dimesso alla fine, ieri sera, da tale carica, ma solo dopo aver incassato il “salvataggio”, sul filo di lana, della sua posizione personale) – il Cavaliere ha sorriso a denti stretti, ma non ha esultato.



C’è ancora troppa confusione, sotto il cielo d’Italia, anche se, come direbbe il presidente Mao, è proprio per questo che la situazione è eccellente. “Abbiamo evitato che ci venisse inflitto un colpo mortale” , ha confidato Berlusconi ai fedelissimi, convinto che il risultato della votazione certifichi su Cosentino come l’intesa con Umberto Bossi sia tutt’altro che archiviata. Inoltre, particolare non di poco conto, l’ex ministro dell’Interno, Bobo Maroni, che vorrebbe condurre la Lega in posizione isolata e isolazionista, tagliando ogni forma di alleanza con il Pdl (specialmente al Nord e specialmente in vista delle amministrative), ma anche “ripulire” il partito da affaristi e corrotti, i cui ‘mandanti’ politici – per i maroniani – stanno tutti all’interno del Cerchio Magico e cioè degli uomini più vicini e più fedeli a Bossi e figli, e i suoi hanno preso “una brutta botta” o “una sonora sberla”, dicono ora, soddisfatti, i berluscones.



Una trama tessuta a fatica, quella che ha riportato, da ieri, il Cavaliere al centro del ring politico, anche se non di quello istituzionale. “Sosteniamo il governo Monti con lealtà, almeno fino a quando il Paese verserà in questa situazione di gravissima crisi economica e sociale”, ha ripetuto Berlusconi rivolgendosi ai “falchi” come Daniela Santanché, gli ex ministri La Russa, Rotondi e Brunetta, ma anche i circoli intellettuali legati ai suoi giornali di riferimento, dal Giornale a Libero fino anche al Foglio.

Al Cavaliere, che non ha lesinato (anzi: ha rispolverato) le doti diplomatiche e tattiche di un tempo, questa ritrovata capacità manovriera consegna un doppio risultato. Il primo è la tenuta del partito, sempre più diviso, al suo interno, su quasi tutto, dal sostegno al governo ai temi economici e fino alla riforma della legge elettorale. Riforma ormai improcrastinabile dopo il doppio “no” arrivato dalla Consulta sui quesiti referendari anti-Porcellum e pro-Mattarellum ma che vede il Pdl (come il Pd, peraltro, dall’altra parte del campo di gioco) spaccato come una mela tra i filo-proporzionalisti alla Frattini e Scajola, che vogliono “riagganciare” l’Udc e, in nome di questo, sono pronti a concedere ai centristi una riforma in salsa “tedesca” e gli iper-maggioritaristi e bipolaristi alla Cicchitto, Quagliariello e Gasparri, che puntano invece a un accordo di massima con il Pd per mantenere (anzi: rafforzare) il bipolarismo, magari rilanciando il sistema spagnolo caro a Veltroni. 



Il secondo risultato utile, per il Cavaliere, è la ripresa di un cammino di avvicinamento verso Bossi. Moltissimi sarebbero stati infatti i contatti tra Palazzo Grazioli e il leader del Carroccio per rilanciare, raccontano gli sherpa di entrambi, un’intesa tra i due partiti. Nelle telefonate tra il Cavaliere e il Senatur l’ex capo del governo avrebbe offerto delle garanzie sulle modifiche da apportare alla legge elettorale (anche Berlusconi avrebbe messo in chiaro che qualcosa deve comunque esser fatto per recuperare credibilità con i cittadini, ma gli “interventi” si limiterebbero a una semplice “manutenzione” del Porcellum), così come avrebbe promesso a Bossi di cercare di orientare, previa consultazione e tramite il “peso” del Pdl, i dossier su cui è al lavoro il governo in modo che non siano del tutto sgraditi ai Lumbàrd.

Parlare di una rinnovata intesa in vista anche delle elezioni amministrative è prematuro, ma da via dell’Umiltà si fa notare come l’atteggiamento del Senatùr rappresenti la volontà di non chiudere la porta a un eventuale accordo. Se vanno da soli magari vincono a Verona (dove vuole lanciare e ricandidarsi una lista civica a-leghista e, forse, prove generale di una nuova o diversa Lega l’attuale sindaco, Flavio Tosi, fedelissimo di Maroni), è il ragionamento del Pdl, ma rischiano di perdere in altre città del Nord.

Nei capannelli di Montecitorio c’è anche chi racconta da due giorni (in particolare i parlamentari maroniani) che il Cavaliere avrebbe detto a Bossi di tenersi pronto alle elezioni perché il governo non arriverebbe al 2013. Uno scenario però poco credibile per lo stato maggiore pidiellino: “Se dovessimo staccare la spina al governo e lo spread tornasse a crescere la colpa ricadrebbe su di noi” è la preoccupazione. Sulla stessa falsariga, il retroscena del Riformista di oggi a firma Alessandro De Angelis: altro che patto segreto – il concetto – quella è una polpetta avvelenata messa in giro dai nemici del Cavaliere, che vuole continuare a mantenere in vita il governo e, insieme, l’alleanza con la Lega. 

Berlusconi dal canto suo non può, però, neppure non tenere conto di tutta quella frangia di parlamentari sempre più insofferenti ad appoggiare l’esecutivo tecnico: dobbiamo far sentire in qualche modo il nostro peso – è la richiesta avanzata dai falchi all’ex premier come al segretario Angelino Alfano – perché il rischio è che finiremo per trovarci sempre di più con le spalle al muro”.