Nicola Cosentino è salvo. La Camera ha votato contro il suo arresto, respingendolo con 309 voti contrari e 298 a favore. L’accusa a suo carico è quella di avere rapporti con i Casalesi; il che ha irritato oltremodo gran parte della base leghista, oltraggiata dal fatto che se adesso il deputato pidiellino non è dietro le sbarre in gran parte è merito dello stesso Carroccio. Di quella fazione che fa riferimento a Bossi, per lo meno. La posizione di Maroni, invece, è nota: l’onorevole doveva finire in carcere, se fosse un cittadino normale ci sarebbe da tempo. L’ennesima spaccatura in seno al partito, quindi. Che, secondo alcuni, avrebbe garantito al Senatur un’interessante contropartita. L’impegno di Berlusconi ad andare ad elezioni in cambio del salvataggio in extremis. «Un baratto, attualmente, decisamente sproporzionato e poco credibile», lo ritiene, invece, Francesco Jori, Giornalista esperto di questioni leghiste raggiunto da ilSussidiario.net. «Non è pensabile – continua – che per salvare un parlamentare si metta in gioco una posta così alta. Del resto, nessuno, in questa fase, ha interesse ad andare ad elezioni. Bossi, inoltre, al momento si accontenta di molto meno. Può darsi, al massimo, che abbiano discusso di legge elettorale».



Sta di fatto che la base è insorta: su internet non si contano gli accostamenti tra la camorra e il Carroccio. Per cui, forte di questo malcontento, Maroni potrebbe decidere di porre un aut aut a Bossi: o gli dà in mano il partito o se ne fonda uno per conto suo, portandosi dietro i voti di gran parte della base che starebbe dalla sua parte. «Anche questo, è fantascienza. Maroni è un leghista della prima ora e conosce bene le dinamiche del partito. In questo momento, come sempre in passato, chiunque si mettesse in proprio, non sarebbe premiato elettoralmente. L’ex ministro dell’Interno è estremamente accorto e attenderà alla finestra, aspettando che cada Bossi o si esaurisca da sé». Difficile, tuttavia, che di sua spontanea volontà decida di fare un passo indietro. «Nel 2013 ci sono le elezioni, ma a primavera ci sarà una tornata importante di amministrative. Se la Lega dovesse avere un crollo, queste dinamiche si accederebbero. Il malumore della Lega, inoltre, è amplificato dai recenti scandali legati ai fondi in Tanzania e al credito che Bossi si ostina a concedere al figlio». I numeri potrebbero dar ragione a Maroni. «La Lega nel 2006 aveva il 4%. Dal 2006 al 2010 è salita all’11%. I voti in più non sono quelli dei militanti leghisti, ma degli elettori del centrodestra scontenti del Pdl. A costoro, il Bossi ondivago di oggi non piace».



Del resto, avevano votato il partito aspettandosi che desse un’accelerata al piano di riforme, cosa che non è accaduta. «Proprio quella linea di governo e riformista che attualmente è incarnata da Maroni. Tant’è vero che si era detto contrario alle dimissioni del governo. Aveva, infatti, proposto di continuare l’alleanza, cambiando solamente il premier». 

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