Un abbraccio per forza! Per non finire nel cestino, travolto dagli eventi e dalla base non più disposta a trangugiare qualsiasi diktat del Capo. Alla fine Umberto Bossi ha fatto l’unica cosa sensata: presentarsi sul palco del Maroni day a Varese, celebrare suo malgrado la nuova vedette leghista tentando di salvaguardare quantomeno “la finzione della corona”, il ruolo del padre nobile a cui la platea (e Maroni) concede l’applauso sui titoli di coda, l’oscar alla carriera per un leader politico che parla ormai al passato. La spada del comando, infatti, da mercoledì sera è passata plasticamente nel fodero di Bobo Maroni, il delfino purgato per un giorno, ma subito rimesso in sella dalla levata di scudi di militanti, quadri e dirigenti padani, fatta eccezione per la ridotta del cerchio magico.
La platea del teatro Apollonio, nella Betlemme leghista, è stata quanto mai esplicita nel verdetto. Prima e dopo in rete hanno iniziato a girare brevi filmati di insulti e risate all’indirizzo del solito Marco Reguzzoni, capofila dei cerchisti, ma anche della stessa Rosi Mauro.
Nel frattempo i militanti ieri in edicola sulla Padania non hanno trovato una sola riga sulla manifestazione di Varese. Lo ha subito fatto notare Gianluca Marchi, direttore del giornale on-line L’Indipendenza, che raccoglie malumori leghisti. “La serata è stato un chiaro tentativo di rinserrare le fila e arrivare con una parvenza di unità alla manifestazione di domenica a Milano contro il governo Monti, ma dietro l’abbraccio al vecchio capo ormai in odor di archiviazione si consumano le più feroci battaglie”, ha scritto senza giri di parole.
Tradotto significa che Reguzzoni proverà a resistere sulla poltrona di capogruppo alla Camera. E a Bossi e solo a Bossi, continua a ripetere, che spetta la decisione finale. Anche se i maroniani non mollano l’osso e chiedono a gran voce di andare fino in fondo, “cacciando colui che voleva cacciare il Bobo da casa sua, la Lega”.
In prospettiva, infatti, sul tavolo del Carroccio restano almeno due nodi da sciogliere. Sarà una lunga traversata del deserto.
Primo. Il clan di Gemonio non si arrenderà facilmente alla vittoria interna maroniana. Manuela Marrone, la signora Bossi, negli ultimi anni ha sempre instillato il tarlo nella testa del marito, con argomenti più o meno di questo tipo: «noi alla Lega abbiamo solo dato, ci abbiamo messo, tempo, soldi ed energia. E adesso c’è chi vuole sfilarcela. Cosa lasceremo ai nostri figli?». È il tipico dilemma dei tanti piccoli imprenditori che costruiscono un impero da zero e quando arriva il momento della successione generazionale vanno in crisi e vedono i fantasmi.
La Lega è più o meno sulla stessa barca, nata e concepita come una “cosa” di Bossi, un oggetto di sua proprietà che ora vede scivolare via.
Il cerchio magico intorno al Senatur malato in questi anni lo ha sempre protetto toccando esattamente queste corde familiste, lucrando in cambio poltrone e un potere sproporzionato al talento politico. Per questo la guerriglia anti-Maroni non si placherà facilmente. La famiglia è sempre la famiglia.
Secondo nodo. Se va come deve e la Lega de-bossizzata non si squaglia, superando il tempo e la sfida del governo Monti, Maroni prenderà in mano definitivamente il partito, si faranno i congressi in tutta la Padania, emergerà una chiara maggioranza nel partito e probabilmente anche una nuova schiatta di 30-40enni pronti a sostituirsi alla vecchia guardia imbolsita.
Bene, ma per fare cosa? Per andare dove? Ad esempio: che tipo di rapporto vorrà avere Maroni con l’ex alleato Pdl (a quel punto a sua volta deberlusconizzato), che al Nord resta decisivo in molte province? E ancora: ha in testa Maroni una Lega sempre a proiezione nazionale o ritirata alla bavarese sopra il Po?
Anche dal punto di vista delle policy la Lega dei “barbari sognanti” dovrà aggiornarsi: il tema immigrazione su cui il Carroccio ha lucrato enormi consensi oggi rende molto meno, l’emergenza è tutta economica. Quali le ricette da mettere in campo?
Né potranno imboccare la deriva protestataria/barricadiera o parasecessionista, a meno di non voler tornare a fare il partito del 4% rinserrato in Pedemontana. Insomma un vasto programma, da far tremare i polsi. Ma già dalla manifestazione di domenica a Milano, forse, se ne capirà di più.