Non sarà un Consiglio dei ministri facile quello che da questa mattina alle dieci vedrà il governo Monti alle prese con il tema delle liberalizzazioni. Le misure contenute nella bozza di decreto, girata in questi giorni, scontentano infatti tutte le categorie interessate.
I tassisti ieri hanno contestato i sindacati che li invitavano a riprendere il servizio e a sciogliere il presidio al Circo Massimo. I farmacisti si sono dichiarati delusi dalle evidenti contraddizioni presenti nel testo, mentre i benzinai hanno annunciato lo stato di agitazione e la chiusura degli impianti per un lungo sciopero di dieci giorni. «Ma siamo davvero sicuri che ciò di cui si sta discutendo si possa definire “liberalizzazione”? – si chiede Piero Ostellino, intervistato da IlSussidiario.net –. O forse si tratta solo di provvedimenti amministrativi che hanno come unico fine quello di aumentare il numero delle licenze».



Ci spieghi meglio. Dal suo punto di vista quando si può parlare di vere liberalizzazioni?

Quando immettono sul mercato e affidano quindi alla sola legge della domanda e dell’offerta beni o servizi, aprendo così la strada alla privatizzazione. Oppure quando diminuiscono la presenza della mano pubblica nella società civile.
In realtà oggi è evidente che siamo ancora prigionieri di un grande apparato burocratico-amministrativo che nessuno si sogna di ridurre, anche se così facendo avremmo una spesa pubblica inferiore e uno Stato che funzionerebbe meglio.



E quale sarebbe una buona proposta di liberalizzazione nei settori di cui più si discute, come taxi e farmacie?  

Innanzitutto chiariamo che non sarà qualche farmacia in più o qualche nuova auto bianca a portare un beneficio agli utenti o a ridurre il peso dello Stato. Se ci facciamo queste illusioni è bene che ci si inizi a preparare a una nuova manovra che fra un anno ci porterà via altri soldi. 
L’unica via da percorrere è quella di abolire il concetto stesso di “licenza”.

Cosa intende dire?

È una parola che andava bene quando il re concedeva ad alcuni privilegiati il diritto di usufruire di beni e servizi. Con quel termine si indicavano infatti le lettere che la regina Elisabetta I, detta la Grande, inviava ad alcuni cittadini inglesi affinché potessero importare le spezie dall’Oriente, creando dei monopoli legali.



E come si passa da un sistema all’altro senza rendere carta straccia gli investimenti di molti “padroncini”?

Basterebbe indire delle aste annuali, o semestrali, nelle quali la pubblica amministrazione mette in vendita (e non regala) le licenze. Ovviamente aperte anche a chi se ne vuole liberare perché decide di cessare la propria attività. A quel punto la domanda di acquisto della licenza non potrà non corrispondere alla domanda di servizio che arriva dall’utenza. Questa è l’unica liberalizzazione possibile.
Se invece è lo Stato a decidere che i tassisti devono essere 150 e non 100, o a intervenire sugli orari di lavoro e sulle tariffe, si tratta solo di un’imposizione che la pubblica amministrazione fa nei confronti di una particolare categoria. Una regolamentazione dall’alto che, tra l’altro, potrebbe anche non migliorare il servizio.

Secondo lei il governo Monti si sta muovendo in questa direzione?

Assolutamente sì e per una ragione di cultura politica. L’Italia è ancora immersa nel Novecento, il secolo della grande crisi del ’29, che si è creduto di risolvere con un maggiore ingresso della mano pubblica nella società civile. Come se l’aumento della spesa pubblica rappresentasse il volano per la crescita, lo sviluppo e la piena occupazione. In realtà questa ricetta ha prodotto soltanto la crisi nella quale ci ritroviamo ora.
Oggi nell’Eurozona ci sono otto milioni di disoccupati e alcuni paesi rischiano di fallire per eccesso di spesa pubblica, ma, nonostante questo, ogni volta che ci si imbatte in una delle crisi cicliche del capitalismo c’è chi decide di accrescere il peso dello Stato. Andando avanti così non ne usciremo e l’attuale governo non fa certo eccezione.

Si riferisce alla manovra?

Certo, anche questa volta si è voluto ricorrere alla tassazione, dando ancora più fieno all’animale Stato. E c’è addirittura chi si compiace del fatto che l’avanzo primario italiano sia migliore di quello tedesco. Ma non è un dato positivo, significa soltanto che gli italiani stanno lavorando più per lo Stato che per se stessi. E non c’è nemmeno da stupirsi se stiamo piombando nella recessione, anzi nella depressione, con un calo dei consumi vicino al 40%.
Vede, è stata contrabbandata agli italiani l’idea che le misure dei “tecnici” siano neutrali. In realtà dietro ogni decisione c’è sempre un’idea di società. E in questo caso quella portante è la redistribuzione forzosa della ricchezza. Concetti da socialismo reale, non da Stato che si limita a reperire risorse per fare solo ciò che i privati non sono in grado di fare.

Le liberalizzazioni di Monti quindi non porteranno crescita?

Non lo faranno, perché, come dicevo prima, non toccano l’apparato. E non credo che sia un caso che i due ministri di questo governo presi con le mani nella marmellata siano stati due ex grand commis di Stato. In Italia purtroppo c’è una grande massa di persone che detiene le leve del potere e vive di questo sistema tra clientelismo, familismo e corruzione. Quando la pubblica amministrazione, con la scusa del rischio sismico, regala a un alto funzionario un appartamento davanti al Colosseo a prezzi stracciati si capisce davvero a che punto siamo arrivati.

Tornando alle liberalizzazioni. Se quelle che usciranno dal Cdm sono finte hanno ragione i tassisti a temere il passaggio forzato da piccolo imprenditori a dipendenti?  

Guardi, se la cultura politica che sostiene l’azione di chi ci governa è quella che le ho descritto l’inclinazione è una sola: trasformare i cittadini in dipendenti pubblici. In questo quadro, i tassisti potrebbero benissimo diventare degli impiegati, categoria rispettabile, ma che di certo non è più il motore di una società aperta come deve essere l’imprenditoria privata. Anche la più piccola, come quella di un semplice padrone di taxi.

(Carlo Melato)

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