La lucidità di Emanuele Macaluso è impressionante, ma anche impietosa sulla realtà italiana, europea e, a ben vedere, mondiale. Certo, l’ex grande dirigente del Pci, attuale direttore de IlRiformista, punta gli occhi sull’Italia e guarda, preoccupato e pessimista, all’evolversi della situazione, con un Paese semibloccato da jacqueries e rivolte di ogni tipo di varie categorie sociali.
Ma si capisce da quello che afferma che teme un logoramento della democrazia non solo in Italia. Macaluso lei usa toni preoccupanti di fronte a questa situazione. Prima la Sicilia paralizzata, oggi le autostrade italiane bloccate e un clima di contestazione da parte di molte categorie sociali. Che cosa sta capitando? «A mio avviso il governo sta facendo il suo compito, sta mettendo in atto dei provvedimenti sensati. Ma non si può governare da Palazzo Chigi. Se non riesci a controllare quello che accade sul territorio, se non riesci a intercettare quello che accade nella realtà, se non governi i processi politici e sociali, vai incontro inevitabilmente a forme di rivolta e insurrezionalismo. Stiamo pagando la mancanza dei partiti, l’assenza della politica, l’inesistenza di organizzazioni di massa che sappiano mediare, interpretare le esigenze delle persone e quindi governare i processi politici e sociali sul territorio».
Mi sembra che lei guardi quasi storicamente, in modo pessimistico, a questo processo, non solo in Italia, ma anche in Europa. Sbaglio?
Non sbaglia affatto. Io sono pessimista non perché credo alla possibilità che in Italia o in Europa possano avvenire forme golpiste e dittatoriali, ma perché c’è un continuo slabbramento della vita democratica del Paese e anche in altri Paesi.
Guardiamo all’Italia. Una volta c’erano organizzazioni di massa, partiti di massa che controllavano, dirigevano i processi politici e sociali. Sul territorio, c’era la sezione della Dc, la sezione del Psi, la sezione e la cellula del Pci. Questi non stavano a guardare, ma cercavano di capire, di intervenire, di mediare, di discutere. Oggi, tutto questo è svanito e non è stato rimpiazzato da nessuno.
Alla fine siamo in una situazione magmatica, siamo al “pascolo brado”, con un governo che fa quello che è possibile e ragionevole fare. Ma non basta.
Le sembra indebolito anche il sindacato? Appena Mario Monti ha fatto un accenno all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è divampata la polemica.
Il sindacato è ancora un’organizzazione di massa e ha un contatto con le persone, con il territorio. Certamente però si è indebolito, anche questo è vero. La storia del sindacato italiano è sempre stata una storia di prim’ordine, con personaggi che hanno fatto la storia d’Italia, ma che si basavano su un’organizzaione importante, ramificata, ben presente a vari livelli della società italiana. E con un grande dibattito interno e una ragionevolezza di fondo che portava alla fine a grandi acccordi.
Oggi gran parte di questa forza si è perduta. Perchè anche il sindacato soffre di questa situazione magmatica, confusa, di continuo slabbramento della vita democratica.
Lei punta il dito soprattutto contro il vuoto politico, ma c’è anche una forza dirompente di grandi poteri a livello internazionale che dettano pure l’agenda politica.
Questi grandi poteri parzialmante invisibili, ma anche visibilissimi sono grandi, forti e spesso hanno un potere incontrastato. Ma i poteri ci sono stati sempre, solo che c’era anche chi li contrastava, chi replicava e anche chi sapeva trattare con loro. Oggi chi è in grado di dare una risposta, di replicare oppure anche di trattare con questo sistema finanziario internazionale? Ci vorrebbero delle forze politiche solide, preparate, ben organizzate e radicate. Quando c’era il capitalismo nazionale, non si è forse trovata la mediazione, il compromesso socialdemocratico? Che cos’è stata alla fine la grande operazione fatta storicamente dai laburisti, dai partiti socialdemocratici? È stata una grande mediazione, un nobile compromesso. Il problema è che oggi mi sembra che nessuno sia in grado, sia capace di fare un altro tipo di grande mediazione, di compromesso, di accordo che avrebbe un carattere storico. Il mio pessimismo nasce da questa considerazione.
Oggi in molti scorgono una spinta oligarchica che si accentua sempre di più.
È vero che c’è una spinta oligarchica. Come si fa a negare una simile constatazione? Ma questa spinta esiste perchè non c’è una risposta adeguata, matura, di organizzazione di massa da parte democratica.
Lei è siciliano e conosce bene la Sicilia, quando sono cominciati i blocchi che cosa ha pensato e per che cosa si è preoccupato?
Certo che conosco bene la mia terra e ricordo molte altre situazioni di quel tipo. Nell’immediato Dopoguerra ho visto situazioni drammatiche: assalto a palazzi baronali, tumulti autentici. Avevamo a che fare con un movimento indipendista della Sicilia a cui aderivano centinaia di migliaia di iscritti, di siciliani. Sto parlando di un fenomeno come quello di Finocchiaro Aprile. Ma a quelle violente jacqueries dell’epoca, i partiti appena rinati dalla “notte fascista” seppero dare un risposta. Perché erano presenti, organizzati e motivati.
Perché mi preoccupo? Perché mi guardo intorno e vedo il vuoto politico, l’inesistenza di organizzazioni di massa che controllino i processi politici e sociali in Sicilia. In questo modo, all fine, si rischia di andare allo sbando.
C’è chi ha detto che dietro a queste rivolte ci sono infiltrazioni mafiose.
Può anche darsi. Ma non è questa la domanda che ci si deve porre di fronte a simili avvenimenti. La vera domanda semmai è perché queste manifestazioni, che esprimono un grande disagio sociale, possono essere “filtrabili” dalla mafia. Questo è il problema reale. Perché all’interno di queste rivolte può inserirsi la mafia? Allora il problema è che non c’è più un’organizzazione di massa che controlla un disagio sociale.
Di chi è le responsabilità di tutto quello che è avvenuto e che sta avvenendo?
Sono stati commessi dei gravi errori e la politica è inesorabile. Alla fine questi errori te li fa pagare in modo duro. Il più grande errore fu quello di non capire che cosa era avvenuto nel 1989, con la fine del mondo bipolare. Non capì nessuno quello che avveniva: né Craxi, né la Dc che sperava di rimettere in pista Andreotti, né il Pci di Occhetto, che pure fece la svolta, ma poi si dimenticò del socialismo europeo.
Questi errori si pagano. Nel 1992, forse ce lo siamo dimenticati, la Lega Nord arrivò a 80 parlamentari sulle ceneri dei partiti. Poi arrivò anche la magistratura. Alla fine il vuoto politico si paga. Perché in politica, il vuoto non esiste. C’è subito qualcuno che occupa gli spazi.
Ma di fronte a questa situazione italiana, con un governo che cerca di mettere “pezze” e sostanzialmente fa cose che sembrano indispensabili per la crisi economica, che futuro ci attende?
Se non si ricostituiscono grandi organizzazioni democratiche di massa, grandi partiti, saremo inevitabilmente immersi in una continua situazione di ribellismo. Ripeto, io sostanzialmente approvo quello che fa il Governo, ma non si governa da Palazzo Chigi senza un controllo democratico sul territorio. Cioè, senza partiti.
(Gianluigi Da Rold)