Il Parlamento si appresta a valutare le liberalizzazioni di Monti mentre i focolai di protesta continuano a diffondersi in tutto il Paese. Dopo i presidi dei tassisti e i “forconi” siciliani, gli autotrasportatori stanno proseguendo i blocchi autostradali, con esiti anche tragici, come la morte di un manifestante travolto ieri ad Asti da un Tir.
Il decreto può migliorare, fanno comunque sapere con toni diversi Pd, Pdl e Terzo Polo, confermando in linea generale il proprio appoggio. «Per il momento in queste liberalizzazioni io vedo molto mercato e poca libertà» dice invece a IlSussidiario.net il direttore de Gli Altri, Piero Sansonetti. «Se si prosegue in questa direzione l’Italia non avrà la sua “rivoluzione liberale”».



“Sinistra”, “liberalizzazioni” e “rivoluzione liberale” non sono quindi termini inconciliabili?

Assolutamente no. Io ad esempio credo che le liberalizzazioni siano necessarie perché la nostra è una società bloccata, soprattutto sul piano della mobilità sociale, come dimostrano i dati dell’Ocse.
Il problema della sinistra italiana casomai è quello di non essere mai stata liberale. Non ha mai concepito infatti la libertà come un valore, ma come un lusso, se non come un Cavallo di Troia.



Per quale motivo?

Perché è ancora condizionata dal comunismo. Tutta la teoria comunista, che io considero straordinariamente interessante e per certi versi moderna, aveva infatti un piccolo difetto. Non considerava la libertà un valore fondamentale, ma subalterno all’eguaglianza. E così la sinistra l’ha sempre vista come un fastidio.

Con quali conseguenze se parliamo di liberalizzazioni?

La più grave consiste nel cercare di risolvere la mancanza che descrivevo prima scimmiottando la destra e sostituendo quindi la libertà con il mercato, che però lei conosce pochissimo e per questo rischia di combinare guai seri.
Questo problema, ad esempio, non si pone in America, dove la sinistra ha invece una sua idea politica forte, “liberal”, termine che dal keynesismo in poi si usa infatti come sinonimo di “sinistra”. 



Le “lenzuolate” di Bersani, dal suo punto di vista, non sono quindi migliori di quelle di Monti?

No, perché nella nostra cultura le “liberalizzazioni” vengono intese come “privatizzazioni”, pur essendo cose molto diverse.
Liberalizzare non significa privatizzare, ma rendere più libero e accessibile. Anche questa volta però sta prevalendo una liberalizzazione intesa semplicemente come meccanismo del mercato che favorisce la concorrenza, ma che in realtà finisce paradossalmente per premiare i monopoli.

Ci faccia un esempio.

Così come l’ha concepita la destra montiana non allarga, ma concentra e punisce i piccoli. Basti pensare ai tassisti e agli orari di lavoro dei negozi. In un paesino si vede immediatamente che i primi a essere colpiti da questo decreto sono i piccoli commercianti.
Così facendo però si stravolge un modello sociale, perché la piccola bottega, fuori dalle grandi città, è una struttura sociale, un luogo di aggregazione, non solo di commercio.
Forse i tecnici pensano ai grandi “mall” americani, ma qui c’è una cultura e una storia millenaria completamente diversa che non può essere spazzata via dall’oggi al domani. 

Che tipo di proposte avrebbe apprezzato allora su questi temi?

Innanzitutto, a mio parere non si può liberalizzare nulla se prima non si trovano strumenti per ridistribuire il reddito. Il divario tra ricchi e poveri continua ad aumentare, come spiega sempre il rapporto dell’Ocse.

Ma secondo lei la società si sblocca con più o meno statalismo?

Con meno statalismo e più libertà. Meno burocrazia, meno norme, meno leggi, meno repressione, ma non meno Stato in economia. Questa a mio avviso è la sfida della modernità: conciliare libertà e uguaglianza, anche se la sinistra ha sempre avuto una paura blu della prima e la destra della seconda.
Non posso credere che l’unica bussola della modernità sia l’efficienza. O che lo sia la politica di Mario Monti, che in una situazione del genere ha annunciato di voler cancellare la cassa integrazione. Un altro episodio che dovrebbe farci riflettere.

Cosa intende dire?

Non so se ci rendiamo conto, ma se Berlusconi una mattina avesse detto la stessa cosa Palazzo Chigi sarebbe stato raso al suolo, altro che “forconi”…
Siamo al “dilettantismo politico”, una delle cause, tra l’altro, delle rivolte di questi giorni. In Italia infatti non c’è più una struttura politica in grado di mediare tra governo e popolo. Una volta esisteva la politica, ma poi è stata abolita pensando che fosse inutile, tanto arrivavano i professori. Oggi però ci accorgiamo che la ribellione spontanea è davvero difficile da gestire…

(Carlo Melato)

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