La Corte Costituzionale ha comunicato ieri le motivazioni della sentenza con cui lo scorso 13 gennaio ha bocciato i referendum abrogativi della legge elettorale. Sostanzialmente, la Consulta ritiene che una decisione contraria e che avrebbe cioè portato al referendum abrogativo, avrebbe auto l’effetto di “eliminazione di una legge costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto applicabile, in ogni momento nella sua interezza”. Una decisione, dice Andrea Morrone, professore di Diritto costituzionale e presidente del comitato referendario nel corso di una conversazione con IlSussidiario.net, che non ha sorpreso, perché «la Corte costituzionale ha confermato un’interpretazione che si può ritrovare nella sua giurisprudenza». Però, aggiunge Morrone, «la decisione della Consulta, contrariamente a quanto ha sostenuto qualcuno, non dice nulla di quanto adesso debba fare il Parlamento: gli scenari che si aprono sono assai perniciosi per il Paese».
Professore, come giudica le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale?
Non mi ha sorpreso né la decisione del 13 gennaio scorso, né le motivazioni che la sostengono. La mia mancanza di sorpresa deriva dal fatto che la Corte costituzionale ha confermato un’interpretazione che si può ritrovare nella sua giurisprudenza. Ma il cuore di questa decisione non è tanto che le leggi elettorali sono riconosciute come necessarie, questo la Corte lo ha sempre detto e tutti lo sanno.
Qual è allora questo cuore che lei sottolinea?
L’inammissibilità del referendum è fondata sul fatto che il ripristino della legge Mattarella, abrogando la legge Calderoli, non sarebbe tecnicamente possibile.
Ci spieghi meglio questo concetto.
I quesiti non erano sbagliati e la Corte di fatto riconosce che erano ben fatti. Quello che la Corte ha escluso nella motivazione delle sue decisioni è che tecnicamente potesse conseguire un effetto ripristinatorio delle leggi Mattarella, norme sostituite dalla legge Calderoli, che era l’oggetto del referendum abrogativo.
Nella motivazione relativa al secondo quesito referendario, però, la Corte dice che esso è stato bocciato perché “contraddittorio e privo di chiarezza”.
Sì e le spiego il perché. Il secondo quesito perseguiva una tecnica di ritaglio della legge Calderoli molto particolare.
Ce lo spieghi.
Venivano abrogate le disposizioni che ordinano la sostituzione normativa. Tutti gli articoli della legge Calderoli sono fatti così: l’articolo uno della legge Mattarella è sostituito dall’articolo seguente e via dicendo. Nel quesito noi inserivamo solo questi “ordini di sostituzione”, ma non il contenuto sostitutivo per cui la Corte ha ritenuto che lasciando in piedi quest’ultima norma e abrogando solo l’ordine di sostituzione si sarebbe creato un dubbio nell’elettore sugli effetti del referendum. Cioè se le norme sostituite venivano poi effettivamente abrogate con il referendum o no.
Si può dire che si sia visto un certo schieramento politico bipartisan favorevole al giudizio della Corte?
Posso solo dire che registro che la decisione negativa nei nostri confronti, tra l’altro anticipata prima del pronunciamento e della pubblicazione delle motivazioni sui principali quotidiani nazionali come Repubblica e Il Corriere della sera, abbia trovato consenso in tutte le forze politiche nessuna esclusa. Questo conferma la giustezza della tesi del comitato referendario da me presieduto e cioè che l’unica possibilità per cambiare questa legge elettorale fosse fare un referendum abrogativo. Farla, cioè, cambiare direttamente dal popolo con un referendum abrogativo.
Che scenari si aprono adesso?
La decisione della Corte non dice nulla di cosa debba fare il Parlamento come invece qualcuno aveva sostenuto o auspicato. Non entra ovviamente nel merito della legge Calderoli e quindi il Parlamento è libero di fare qualunque cosa, e se vuole cambiare la legge, può cambiarla come meglio crede. Però credo che le ipotesi possibili, ragionando sugli scenari, siano sostanzialmente due.
Quali?
La prima è che si torni a votare con la legge Calderoli, la strada più semplice e probabilmente quella che trova più consensi.
La seconda?
Se una modifica è politicamente possibile, non vedo altra strada che il ritorno a una legge elettorale di tipo proporzionale. Solo il proporzionale, infatti, potrebbe trovare il consenso di queste forze politiche in questo Parlamento e in questo momento storico.
E il vostro giudizio quale sarebbe?
Di fronte a questo scenario il voto con la legge Calderoli o il voto con nuova legge di tipo proporzionale porterebbe a una situazione perniciosissima per il nostro Paese.
Perché?
Perché nell’una o nell’altra ipotesi avremo un Parlamento debole, fatto di tantissimi partiti senza che gli elettori possano scegliere i propri rappresentanti, ma soprattutto senza sapere quale sarà il governo che dovrà poi fare le politiche di risanamento finanziario.
E voi continuerete nel vostro impegno referendario?
Il nostro impegno politico resta. Vorrei sottolineare che la nostra iniziativa ha raggiunto un risultato politico indiscusso e difficilmente contestabile anche di fronte allo stop della Consulta. Abbiamo ottenuto un milione e 250mila firme di cittadini in carne e ossa che ci hanno sostenuto con grande passione, abbiamo dato voce al Paese reale che ha gridato due cose.
Quali?
Che venga ripristinato il diritto costituzionale degli elettori di scegliersi i propri rappresentanti per avere un Parlamento di eletti e non di nominati da pochi capibastone. In secondo luogo, che insieme alla scelta dei propri rappresentanti i cittadini possano scegliere anche la maggioranza di governo prima e non dopo le elezioni. Questo è connaturale a una democrazia maggioritaria dell’alternanza e non a un sistema bloccato consociativo, che è lo scenario più probabile si realizzi si dovesse concretizzare una delle due ipotesi che ho descritto prima.