A diciott’anni dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi sul futuro del centrodestra italiano si addensano numerosi interrogativi. Che forma prenderà il Popolo della Libertà dopo l’esperienza del governo dei tecnici guidato da Mario Monti? L’asse del Nord è da archiviare? E chi riuscirà a tenere insieme una coalizione che ha sempre avuto come unico baricentro il Cavaliere? «Non c’è dubbio che in Italia il centrodestra è nato grazie al guizzo geniale e solitario di Silvio Berlusconi – spiega a IlSussidiario.net Pietrangelo Buttafuoco –, altrimenti non avrebbe mai potuto esserci. E questo per una serie di motivi: nel Paese si era radicato infatti un istinto moderato che tutto poteva essere tranne che riconducibile a un’area di centrodestra. Se, ad esempio, dovessimo cercare un alfabeto, un linguaggio che potesse mettere insieme quella storia dovremmo andare molto più in là nel tempo, scavalcando persino il Risorgimento. Ad ogni modo Berlusconi seppe trovare una sintesi, diede contenuto a ciò che era solo un istinto di un preciso blocco sociale, cosa che prima di lui era riuscito a fare solo Bettino Craxi».



Oggi però siamo alla fine di quella stagione politica.

È vero e non credo che a questo punto ci sia la possibilità di continuare nel solco del Pdl, di ciò che è stato e di ciò che sarebbe potuto diventare. Tutto è inevitabilmente legato all’esperienza personale di Silvio Berlusconi. Qualcosa di nuovo nascerà sicuramente, ma se alle sue spalle ci sarà ancora una volta la regia del Cavaliere non potranno che essere dei tentativi.
Il fatto stesso che io e lei ne stiamo parlando dovendoci per forza aggrappare a una meta elettorale la dice lunga sull’attuale possibilità di avere degli argomenti, una sostanza politica e un orizzonte.



Almeno il blocco sociale è rimasto lo stesso secondo lei?

Chi lo può dire? Pensiamo alla Lega. Il Nord ha avuto in questi anni un ottimo strumento che aveva fondato il suo consenso non sulle clientele, come succederebbe per qualsiasi espressione politica al Sud, ma su un blocco sociale costituito da operai, imprenditori e individualità libere che avevano un’idea ben precisa dell’emancipazione nel lavoro e nella società. Questo ha portato a degli esperimenti e a dei successi in ambito politico-amministrativo. Teniamo presente infatti che il Carroccio, pur avendo un personale politico strutturato con un logica leninista, ha dato dei buoni risultati. Cosa che non si può dire rispetto al Popolo della Libertà.



Ci spieghi meglio.

Prima Forza Italia e poi il Pdl sono finiti nel frullato di un’esistenza resa turbinosa dalla personalità di Berlusconi, che non ha permesso che si formasse un ceto politico. Se dovessimo infatti fare il racconto del berlusconismo, infatti, non potremmo non parlare di quell’immenso dimenticatoio popolato da bracci destri, protagonisti di un solo giorno e personalità portate alla ribalta per poi essere cancellate e dimenticate.

È lo stesso destino che secondo lei attende Alfano?

Rispetto a quelli che subirono questa sorte bisogna dire che lui ha il vantaggio di essere radicato in un territorio, il laboratorio siciliano. Un luogo fatto di destini, storie e personaggi che difficilmente possono essere messi tra le parentesi dei sondaggi e delle opinioni volatili. Un orizzonte in cui chi vuole farsi la propria storia se la può fare. Se in Italia infatti le cose possono cambiare dall’oggi al domani, in Sicilia questo può accadere dalla mattina alla sera…

Tra gli interrogativi aperti in questa metà campo, c’è poi quello che riguarda tutta l’area degli ex An, oggi rimasta senza un leader.

Questo è un problema rilevante che qualche giorno fa è stato sottolineato anche da Marcello Veneziani. Manca un leader a una comunità politico-culturale che non è assolutamente infinitesimale in questo orizzonte. Anzi, è forse quella che ha avuto le antenne più dritte in termini di elaborazione politica e culturale. A mio avviso però questo mondo si sta sgretolando, non tanto perché è alla ricerca di un leader (quello verrà da sé), ma piuttosto perché sta tentando di costruirsi una casa.

Cosa intende dire?

Se consideriamo quello che era stato il passaggio fondamentale, non tanto la stagione di Gianfranco Fini, quanto l’impronta data da Pinuccio Tatarella, il percorso di quel mondo era chiaro: costruire una casa dove poter stare. Una “casa degli italiani” che permettesse di uscire da una dimensione di “esuli in patria”.
Alfano, o chi per esso, commetterebbe un grave errore se dimenticasse questo importantissimo tassello, che si salderebbe finalmente con la tradizione socialista e quella cattolica. Per essere chiari, a mio avviso, c’è la necessità di far tornare nella stessa casa Augusto Del Noce, Cesare Battisti e Giovanni Gentile.

Lei pensa quindi a una casa comune, non al ritorno della destra in una nuova An?

Alleanza Nazionale non può tornare. A quel punto in termini di elaborazione culturale, creativa e di fantasia basterebbe Casa Pound, al di fuori degli esorcismi e delle persecuzioni che sta subendo. Quella sì che è una realtà che sa fare elaborazione politica e attraversare i mondi, mandando in pensione definitivamente quella ridicola macchina degli equivoci che è l’estrema destra.
Se invece ragioniamo sempre da un punto di vista elettorale, il discorso è un altro. Su questo piano bisogna intendersi su come potremo dividere nuovamente la destra dalla sinistra.

C’è chi ipotizza che dopo il governo Monti i partiti potrebbero ispirarsi al modello europeo coalizzandosi in due blocchi: il Partito popolare italiano e il Partito socialdemocratico…

Sull’Europa non sono in grado di rispondere perché, per com’è intesa, non mi riguarda assolutamente. L’idea di avere a che fare con una società che si divide tra socialdemocratici e popolari, per replicare lo  schema americano democratici-repubblicani, comunque non mi convince.
Già è insopportabile fare i conti con la cultura liberal, che Dio ci scampi almeno quella del Tea Party. Si tratta di semplici isterie. Avere a che fare con uno alla  Bruce Chatwin, che gira per il mondo e si chiede “Che ci faccio qui?” o, dall’altra parte, con chi ti può scambiare con un terrorista se non indossi la cravatta non mi interessa. Nessuna di queste due culture è in grado di decifrare il futuro, anzi la realtà. E l’unico fronte politico che saprà decidere, in senso schmittiano, è proprio quello che sarà in grado di farlo.

Dal suo punto di vista, qualunque evoluzione comunque sarà da demandare alla comparsa di un nuovo leader?

Guardi, qualcuno che si sta preparando a diventare leader c’è, ma è ancora più interessante capire chi vuol fare il regista. Nella società moderna infatti il leader è il protagonista di una messa in scena, un contenitore a cui dare contenuti. Uno come Pier Ferdinando Casini, ad esempio, si sta candidando a fare il regista.

E chi sarà il suo leader?

Alla fine potrebbe esserlo anche lo stesso Monti, o Passera. Vedremo poi se anche Berlusconi vorrà fare il regista, ma è comunque difficile immaginare che alla prossima tornata elettorale escano delle facce provenienti dalle officine della politica. La cosiddetta “sobrietà” non è nient’altro che un lapsus del linguaggio, che rivela un retroscena.

Quale?

Si è cambiato passo e registro perché bisogna abituarsi all’idea del “tecnico”. Anche se l’“esercito del bene” e il meraviglioso pubblico di Santoro non sanno che la tessera P2 di Berlusconi, in confronto al combinato disposto di Goldman Sachs e Bilderberg di Monti, fa davvero ridere.
A cambiare la geografia politica quindi non ci ha pensato un nuovo leader, è bastato questo strano “spolverio tecnico”…

(Carlo Melato)