La morte del nono Presidente delle Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si presta a diverse valutazioni. La principale è quello dell’onore da riconoscere, nel momento della morte, a un uomo che ha concluso la sua lunga vita (93 anni) nella coerenza della sua fede cattolica, portata sempre con fierezza nella vita e anche nella dimensione politica.
Ma riconosciuta questa coerenza, Scalfaro sarà un personaggio su cui la storia si interrogherà a lungo, per comprendere quale itinerario politico ha seguito e che cosa ha rappresentato nella storia italiana. Un personaggio difficile da inquadrare. Di origini meridionali, Scalfaro era di fatto un novarese. A Novara e in Piemonte aveva mosso i primi passi come giovane magistrato. Ma in quella città, più lombarda che piemontese, si era sposato e poi aveva esordito in politica, eletto prima come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana, nel 1946 per l’Assemblea costitutente, e poi, ininterrottamente fino al 1992 come democristiano a tutto campo.
E il 1992 fu un anno decisivo per la carriera politica di Oscar Luigi Scalfaro. Prima Presidente della Camera, poi il 25 giugno 1992 Presidente della Repubblica. Il punto di riferimento politico del giovane deputato Oscar Luigi Scalfaro era stata la destra della Dc. Non quella del piemontese Giuseppe Pella, ma direttamente quella del siciliano Mario Scelba, ministro degli Interni contestato duramente dalla sinistra italiana per tutti gli anni Cinquanta.
Durante gli anni della svolta di centrosinistra, Scalfaro entrò quasi in una zona d’ombra nella stessa Dc. Zona d’ombra da cui riemerse quando il leader del Psi, Bettino Craxi, nel suo primo governo negli anno Ottanta, lo chiamò a ricoprire l’incarico di ministro degli Interni. Poi, quel 1992. A sorpresa, Scalfaro venne eletto Presidente della Repubblica, in giornate drammatiche.
Il 23 maggio 1992, mentre in Parlamento si consumava una faida lunghissima tra due esponenti democristiani, Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti, per la Presidenza della Repubblica, a Capaci, in Sicilia, veniva ammazzato il magistrato Giovanni Falcone. Il Paese fu scosso da quell’orrenda strage.
Il Parlamento, due giorni dopo, alla sedicesima votazione nominò Scalfaro. Lo sponsor principale di quell’operazione che portò Scalfaro al Quirinale fu il leader radicale Marco Pannella che, di fatto, bruciò le carte non solo dei contendenti democristiani, ma anche del Presidente del Senato dell’epoca, il repubblicano Giovanni Spadolini. E’ difficile valutare oggi quella parabola politica che porta Oscar Luigi Scalfaro dalla destra scelbiana della Dc alla sponsorizzazione pannelliana nella corsa alla Presidenza della Repubblica. Il giudizio sarebbe schematico e probabilmente impreciso rispetto al caos che il passaggio dalla Prima alla cosiddetta Seconda repubblica, caratterizzava nel 1992 la vita politica italiana. Di fatto, Oscar Luigi Scalfaro divenne il Presidente della Repubblica che diede il via alla “seconda repubblica”, fra polemiche e contrasti che hanno lasciato un segno profondo.
Quel periodo è legato ovviamente alla stagione di Tangentopoli e a tutte le questioni connesse. Scalfaro nominò presidente del Consiglio Giuliano Amato, scartando Bettino Craxi (che non aveva ancora ricevuto alcun avviso di garanzia).
E con lo stesso Craxi, il suo ex Presidente del Consiglio, Scalfaro non fu tenero quando disse, mentre Craxi non voleva lasciare l’incarico di segretario del Psi: “Chi ha salito le scale del potere deve saperle scendere con uguale dignità”. Poco dopo, fu sempre Scalfaro a rifiutarsi di firmare il decereto-Conso sul finanziamento illecito dei partiti. Un decreto che avrebbe forse limitato la stagione di Tangentopoli. E questo suo gesto, lodato in modo incredibile dalla stampa di sinistra (c’è quasi un epico editoriale su “la Repubblica”di Eugenio Scalfari da ricordare), mise Scalfaro alla testa del moto popolare contro il “Parlamento degli inquisiti”. E dopo il referendum che abrogò il sistema proporzionale, Scalfaro fu tra quelli che spinse per una nuova legge elettorale, in cui il Parlamento operasse “sotto dettatura dell’esito popolare”.
Ma nel 1993 anche Scalfaro fu coinvolto nel cosiddetto “scandalo del Sisde”, per una gestione di fondi riservati gestita con molta leggerezza. La sera del 3 novembre 1993, Scalfaro si presentò a sorpresa in televisione per un messaggio straordinario e pronunciò la famosa frase: “Non ci sto”. In quel messaggio parlò di gioco al massacro e diede una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia della classe politica travolta da Tangentopoli nei suoi confronti. Scalfaro fu scagionato, ma le code polemiche e anche giudiziarie (una denuncia di Filippo Mancuso per abuso di ufficio) continuarono. Poi cominciarono le vicende politiche più dirette. Le elezioni della Seconda repubblica, il Governo Berlusconi che venne interrotto e la nomina del Governo di Lamberto Dini, che è passato alla storia della “seconda repubblica” con il nome di “ribaltone”. Periodi difficili, impossibile oggi inquadrali correttamente. Indubbiamente Scalfaro fu un Presidente della Repubblica “interventista”.
Probabilmente fu corretto nel rispetto delle sue competenze costituzionali, ma certo non stette alla finestra di fronte all’evoluzione caotica della seconda repubblica.
Ha concluso la sua carriera politica come senatore del Partito democratico. Senatore a vita naturalmente, come gli spettava di diritto. Al momento, ripetiamo, un giudizio complessivo sarebbe affrettato. E il personaggio non era affatto un tipo semplice e accomodante. Nel 1950, giovane deputato democristiano, fu al centro di una vicenda che oggi andrebbe a ruba sui giornali di gossip. Il 20 luglio del 1950, al ristorante di Roma “da Chiarina” in via delle Vite, il giovane deputato Scalfaro redarguì severamente la signora Edith Mingoni in Toussan perché si era tolta un piccolo bolero e mostrava le spalle nude e probabilmente un petto prosperoso con una ampia scollatura. Seguì un incredibile “polverone” con sfide a duello, che Scalfaro rifiutò, e persino un articolo sull’Avanti del principe Antonio Focas Flavio Commeno De Curtis, in arte Totò. Robe da altra Italia, più divertenti certamente di quelle del 1992.