Dopo il pacchetto delle liberalizzazioni e quello delle semplificazioni, il governo Monti è atteso dall’intricato nodo della riforma del lavoro.
Un negoziato difficile che secondo il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, potrebbe concludersi entro marzo. Un passaggio insidioso, secondo Angelo Panebianco, soprattutto se il governo dovesse mostrare maggiore timidezza in questo ambito, scontentando così in maniera differente gli elettorati di riferimento delle diverse forze parlamentari che sostengono l’attuale maggioranza.
«A mio avviso – dice Piero Ostellino a IlSussidiario.net – non bisogna però procedere per compensazioni, come se l’obiettivo finale fosse soltanto quello di distribuire i sacrifici tra i diversi bacini elettorali. La verità è che ne sono stati già chiesti troppi e questo ha causato una regressione che ci ha portato direttamente allo Stato feudale».



Innanzitutto, qual è il suo giudizio sulle semplificazioni recentemente presentate dal Presidente del Consiglio?

Penso che la direzione sia quella giusta. Che lo Stato provi a facilitare l’operato e la vita del cittadino è un fatto positivo. Spero però che questo sia il primo passo. Bisognerebbe infatti andare avanti cancellando norme e regolamenti inutili, ma soprattutto riducendo la spesa pubblica.
Se invece ci riferiamo alle imprese, l’unica vera semplificazione che andrebbe fatta è la riforma della giustizia civile. È lenta e inefficiente ed è la prima causa della scarsa attrattiva che questo Paese suscita negli investitori stranieri. Non parliamo poi di quella penale…



E cosa si aspetto dal “governo dei professori” sul tema lavoro?

È una riforma sicuramente necessaria, che può rendere più dinamica la nostra economia e incrementare la nostra produttività.
Bisognerà però compensare la flessibilità con le garanzie per chi perde il lavoro, anche per motivi economici, utilizzando la cassa integrazione e il salario minimo garantito per i disoccupati. A quel punto andranno comunque eliminati molti di quei sussidi inutili che si sono moltiplicati negli anni.
Riguardo al metodo, spero invece che il governo tecnico abbandoni la pratica della concertazione.

Ci spieghi meglio.



È giusto che il governo abbia i suoi canali di comunicazione con le corporazioni, le associazioni e i suoi rappresentanti. Sono indispensabili per sapere quali sono i problemi, le ansie e le aspettative delle parti sociali. Ma la decisione spetta al governo sulla base di queste informazioni, non può essere demandata a dei tavoli allargati in cui non si capisce chi partecipa e chi alla fine deve decidere. Le decisioni non si concertano. Altrimenti, come ha dimostrato il caso dei Tir, dovete spiegarmi che differenza c’è tra questo governo “tecnico” e quelli politici che si sono succeduti fino all’altro ieri…

A cosa si riferisce?

Con gli autotrasportatori il governo tecnico ha completamente sbagliato linea. Prima li ha massacrati sotto il piano delle tasse e degli aumenti, poi gli ha passato qualche soldo sottobanco quando è scoppiata la protesta.
Non si governa in questo modo. La mediazione corporativa va eliminata e le corporazioni vanno ridotte, altrimenti diventano il luogo della mediazione di un potere politico che ammette di non avere capacità di direzione e gestione.
Intendiamoci, sotto il piano etico-politico, la protesta dei Tir era a mio avviso legittima, anche se ovviamente il blocco stradale è illegale e non dev’essere permesso. Ma lo Stato però deve porsi il problema della legittimità delle proprie tasse e chiedersi se esistono dei limiti.

Su questo fronte l’Agenzia delle Entrate prosegue con i suoi blitz ad alto valore simbolico. Dopo Cortina, la movida milanese…

E con questo torniamo infatti al punto da cui eravamo partiti, alla regressione verso un economia medievale e a quello che già diceva Locke nel 1690.
È semplicemente ridicolo che si vada a caccia di ricchi nei bar. Tutta l’operazione non è altro che uno specchietto per le allodole e per chi le tasse le paga.
Se volessero davvero trovare gli evasori con la macchina di lusso incrocerebbero i dati della motorizzazione con quelli della fiscalità. E invece si continua a usare l’invidia sociale per giustificare l’imposizione fiscale…

(Carlo Melato)