La Commissione Giovannini non è riuscita a tagliare gli stipendi dei Parlamentari. Chiamata ad agosto dal governo Berlusconi per livellare le retribuzioni italiane sulle media europea, ha gettato la spugna. Il team di esperti guidati dal presidente dell’Istat ha fatto sapere che i dati elaborati in diversi mesi sono «del tutto provvisori e di qualità insufficiente per una loro utilizzazione ai fini indicati dalla legge». Poi, a poche ore dalla pubblicazione sul sito del ministero della Funzione pubblica delle tabelle riepilogative, è arrivato un importante chiarimento da parte dell’Ufficio di presidenza di Montecitorio. Secondo il quale le elaborazioni della Commissione dimostrano che le indennità degli inquilini di Camera e Senato sono tra le più basse in Europa. Sarebbero mediamente pari, infatti, a 5mila euro. Un chiarimento necessario, data l’indignazione dell’opinione pubblica per quei 11.283,28 euro mensili emersi in prima battuta. Erano, infatti, lordi. Va bene. Sta di fatto che a questi si devono aggiungere la diaria, i rimborsi per i collaboratori e benefit vari. Fatti i calcoli, si arriva a circa 16mila euro. Comunque una bella cifra. Anche questi sono lordi? E se al netto la cifra dovesse ridursi significativamente, vuol dire che i parlamentari non si devono più tagliare lo stipendio? Lo abbiamo chiesto a Mario Baldassari.
Senatore, lei, tutto compreso, quanto guadagna? Al netto, ovviamente.
Attorno ai 10mila euro al mese; compresa l’indennità di presidente di Commissione sugli 11-12mila.
Era necessario istituire una commissione per sapere quanto prendono i nostri Parlamentari rispetto ai colleghi europei?
I numeri che circolano non sono immediatamente interpretabili, perché riferiti a compensi lordi. Inoltre, il confronto andrebbe fatto commisurando le singole voci. Per esempio, in Francia potrebbero avere compensi per i collaboratori più alti, ma stipendi più bassi.
Perché la Commissione, in svariati mesi, non è riuscita nel suo intento?
Probabilmente, perché confrontare i dati dei Parlamenti di tutti gli altri Stati non è così semplice. In ogni caso, sarebbe giusto commisurarli anche a quelli di tanti manager pubblici, capi di dipartimento o direttori di gabinetto che svolgono, magari, contemporaneamente più incarichi.
Quindi, lei non è favorevole a tagliare gli stipendi di deputati e senatori?
Certo che lo sono. In un momento di difficoltà è giusto mettere in discussione sia lo stipendio che il numero dei parlamentari. Sta di fatto, che si tratta di un polverone mediatico che non evidenzia i costi reali della politica.
Perché?
Se tagliassimo a metà il numero di parlamentari e il loro stipendio, otterremmo un risparmio di 450 milioni di euro l’anno. Rispetto ai numeri dell’economia italiana, non è sicuramente una cifra significativa. Il che dimostra che non sono questi i veri costi della politica.
Quali sono, invece?
Ci sono 40-50 miliardi di euro rubati ogni anno attraverso specifiche voci della spesa pubblica. Se si ci limiterà a tagliare gli stipendi dei parlamentari senza agire su queste ruberie, i cittadini continueranno ad essere presi in giro.
Ci spieghi meglio.
Basta prendere i dati del bilancio pubblico e analizzarli. La spesa pubblica ci costa 820 miliardi l’anno. Consiste in 6 voci: gli stipendi dei dipendenti pubblici, già bloccati fino al 2013; le pensioni, messe sotto controllo con la riforma; gli interessi sul debito pubblico, che dipendono dal mercato; gli investimenti, dimezzati in 5 anni, quando si sarebbe dovuto, invece, raddoppiarli. Restano due voci su cui agire: gli acquisti di tutte le pubbliche amministrazioni, che ammontano a 140 miliardi di euro l’anno; e i fondi perduti, sussidi alla produzione e sussidi in fondo capitale.
Quindi?
Ebbene: io sostengo da più di dieci anni che i fondi perduti andrebbero eliminati, perché non sono mai serviti a nulla se non a foraggiare le zone d’ombra dell’economia frammischiata alla politica. Mentre, per quanto riguarda gli acquisti, ci sono stati degli aumenti ingiustificati. In alcuni settori, come la sanità, anche del 50% in cinque anni.
Effettivamente, scandali sulla sanità ne sono esplosi…
Si tratta della punta dell’iceberg. Lo scandalo vero non consiste in un assessore regionale che va in galera.
In cosa, allora?
In 3-400mila persone che in Italia, quotidianamente, continuano a sguazzare in quelle voci di spesa.
Cosa intende con “sguazzare”?
Se l’amministrazione paga 3 euro una penna che ne vale 1, o se compra una tac, ma poi non la usa, è evidente che in quegli ordini c’è una quota eccedente che va ai fornitori.
Il guadagno per i fornitori è evidente. Ma cosa gliene dovrebbe venire alla politica?
Anzitutto, è un modo della politica per finanziarsi; in sostanza, si tratta di svariati miliardi di cui poter disporre a proprio piacimento. È una maniera, inoltre, per raccogliere consenso. Parecchio miope, tra l’altro. Se si tagliassero queste spese e le risorse recuperate fossero utilizzate, ad esempio, per finanziare il quoziente familiare, il consenso ottenuto supererebbe di gran lunga i 300mila voti.
Può dimostrare quello che dice?
E’ sufficiente registrare l’aumento che si è verificato in questi cinque anni e analizzare nel dettaglio i capitoli di spesa del bilancio. Non mi risulta che, nella sanità, ad esempio, ci siano state epidemie di colera tali da giustificare un aumento dei costi del 50 per cento.
Non dovrebbe essere compito della magistratura intervenire?
A volte, lo fa. Come dicevo prima, infatti, ogni tanto emerge uno scandalo.
Tornando agli stipendi dei parlamentari: trova congrua la cifra che, complessivamente, prendete?
Se uno svolge adeguatamente il proprio incarico sì. Personalmente, io prendevo di più prima di entrare in politica. In ogni caso, per carità! Un parlamentare guadagna abbastanza da vivere più che dignitosamente.
La manovra sta chiedendo enormi sacrifici ai cittadini. La gente comune è arrabbiata. Non crede che, se non riuscirete a tagliarvi gli stipendi, c’è il rischio che la gente si arrabbi ancora di più e che il malcontento possa deflagrare in conflitto sociale?
Certo che c’è questo rischio. Ma il rischio maggiore è quello legato alla recessione. La gente non protesterà per gli stipendi dei parlamentari, ma perché ha perso il lavoro, perché ha il figlio precario, non arriva a fine mese, la pensione è insufficiente, mentre le piccole e medie imprese devono chiudere e licenziare.
(Paolo Nessi)