Dopo l’invito di Capodanno rivolto ai lavoratori e alle loro organizzazioni affinché sappiano esprimere “slancio costruttivo” nel confronto che li attende, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è voluto tornare sull’argomento sottolineando d’altro canto l’esigenza di ripensare al tema degli ammortizzatori sociali.
Ora tocca al governo e ai sindacati, dato che il Capo dello Stato ha ribadito che non entrerà nel merito delle scelte di ciascuno. «Non è necessaria la concertazione anni Novanta, ma un confronto serio e onesto», ha fatto sapere ieri la Cgil, mentre il governo è alle prese con la preparazione dei prossimi incontri internazionali del presidente del Consiglio.
«Credo che la direttrice su cui il governo Monti dovrebbe muoversi – dice a IlSussidiario.net il direttore de l’Unità, Claudio Sardo – sia la ricerca di un “patto sociale”. E il modello a cui dovrebbe ispirarsi, a mio avviso, è proprio quello di Ciampi, che nel ’93 riuscì ad affrontare l’emergenza coinvolgendo nella definizione di un programma condiviso le parti sociali. Per quanto riguarda il sindacato, invece, la sfida è quella indicata da Napolitano: tendere all’interesse generale, a partire dalla propria parzialità.
La partita che si sta per giocare ad ogni modo è molto delicata, anche perché c’è chi sta cercando di minare alla radice il valore di questo patto».



A cosa si riferisce?

Bastava leggere il Corriere della Sera e Repubblica di ieri per accorgersi di una straordinaria convergenza, a mio avviso molto negativa. Alla base degli articoli di Sergio Romano e Alessandro De Nicola, infatti, c’era quella comune ideologia che vede come unici portatori di una dimensione generale lo Stato da un lato e il singolo cittadino dall’altro, senza alcuno spazio per i corpi intermedi.



E come si spiega questo punto di incontro tra i due principali quotidiani italiani?

È molto semplice, c’è un’oligarchia economico-finanziaria che non vuole il patto sociale e cerca di utilizzare il governo tecnico non tanto per gestire l’emergenza, ma per regolare i propri conti. Con i partiti, con i sindacati, ma non solo. Basti pensare che nel pezzo di Repubblica sulle lobby a un certo punto veniva portato l’esempio delle organizzazioni sindacali e della Chiesa.
Continuando di questo passo arriveremo a considerare la famiglia una “lobby” e due persone che si incontrano al bar un’”adunata sediziosa”. Un’ideologia reazionaria di questo tipo potrebbe farci fare un passo indietro di oltre un secolo.



E chi avrebbe interesse a delegittimare partiti e sindacati?

Prendiamo ad esempio le ultime polemiche sulla “Casta”. Solitamente tutte le campagne che riscuotono grande popolarità partono da un fondo di verità. Ed è innegabile che i politici godano ancora di privilegi anacronistici. Detto questo, mi sembra evidente che lo scopo non sia quello di risolvere la situazione, ma di attaccare i partiti in quanto soggetti di partecipazione democratica e di aggregazione delle persone.
Lo stesso vale per le polemiche sul Vaticano. L’obiettivo della campagna sull’Ici non mi sembra che fosse per tutti quello di eliminare le zone grigie, piuttosto seminare sospetto nei confronti di ciò che andrebbe invece visto con favore, come il mondo del no profit e del volontariato.
Se qualcuno però vuole un Paese in cui le mense della Caritas per i poveri e le sedi dell’Arci paghino l’Ici significa che ha intenzione di eliminare tutto il meglio della nostra società.

Si rischia una deriva statalista e individualista?

Direi proprio di sì. Anche se con questo non voglio dire che la nostra società non abbia al suo interno alcune strutture corporative. È infatti evidente che un’iniezione di liberalismo è indispensabile al Paese, ma c’è chi si nasconde dietro istanze giuste per raggiungere obiettivi inaccettabili.
Io resto convinto del fatto che se passa il paradigma ultraliberista-mercatista e se i corpi intermedi non vengono rimessi al centro per l’Italia non c’è speranza. Guardiamo a Germania e Svezia: secondo questi tardivi seguaci della scuola di Chicago sono paesi corporativi?
C’è da augurarsi che sia i sindacati che il governo Monti puntino alla coesione e all’interesse generale senza cedere alla pressione di eminenti editorialisti.

Prima ha parlato di “patto sociale”? Ma di quali contenuti andrà riempito?

Liberalizzazioni da un lato e sicurezza sociale dall’altro. Serve un piano che porti una maggiore occupazione dei giovani e delle donne e che riduca le distanze sociali che negli ultimi vent’anni sono aumentate enormemente.
Per quanto riguarda il metodo invece non mi invischierei nello sterile dibattito di questi giorni. Che si chiami concertazione o meno riprodurrei lo schema del ’93.
Sulle consultazioni separate, invece, ho qualcosa da ridire. L’unità sindacale non è un dogma, ma un valore quando si realizza. Monti ha sbagliato a convocare i sindacati singolarmente, ma può ancora rimediare.

Per chiudere una domanda sul Pd. In questa fase di sofferenza per il proprio elettorato quale posizione dovrà tenere secondo lei?

Il Partito Democratico ha già scelto una linea ed è quella di Damiano e Treu: una progressiva riduzione delle tipologie dei contratti precari e la stabilizzazione di quelli nuovi. In questo modo potranno essere valorizzati gli aspetti positivi delle proposte di Ichino, come l’obiettivo del contratto unico, senza anticipare però i tempi in maniera irrealistica. Anche l’ipotesi della flexicurity, infatti, mi sembra giusto, ma un po’ troppo scolastica. È rischioso importare un modello di questo tipo in un sistema senza crescita e ammortizzatori. La strada è un po’ più lunga e se ci si illude del contrario si rischia di fare seri danni…

(Carlo Melato)