Siamo sgomenti difronte alle continue notizie sul malaffare della politica e sulla sua criminalizzazione progressiva, in Calabria, come in Lombardia. Inutile prendersela con la magistratura che scopre e persegue i crimini. Cosa dovrebbero fare i pubblici ministeri e le procure, chiudere gli occhi? Certamente no; e l’esercizio del loro potere è legittimo sino a quando perseguono i crimini senza influenzare la sfera della politica. Com’è possibile, allora, che una delle democrazie più importanti dell’Europa e del mondo occidentale, qual’è l’Italia, abbia smarrito il senso della politica e si sia ridotta, nel migliore dei casi, a semplice “affare”? La risposta che bisogna dare a questo interrogativo deve essere disincantata, ma scientificamente in grado di spiegare la realtà.



La contrapposizione tra capitalismo e comunismo, di cui si era nutrita l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, è venuta meno con la caduta del muro di Berlino e, da allora, la contrapposizione tra più visioni del mondo, tra Weltanschauungen, non ha avuto più un senso e la divisione in parti(ti) connaturata alla natura umana non ha avuto più gli ideali e l’ideologia come riferimento. È in questo contesto che la politica si è ridotta ad un semplice affare. Si badi che la politica è stato sempre un sinonimo di affari e la decisione pubblica ha sempre implicato la scelta di chi deve occupare le cariche pubbliche, e deve spendere o utilizzare l i soldi dei cittadini. Ma tutto ciò conviveva con una visione del mondo di cui il partito si faceva portatore e la lotta politica era, in primo luogo, la battaglia per realizzare una certa visione dello Stato, della società, dei gruppi e dell’individuo. Oggi, invece, tutto ciò è venuto meno e la decisione pubblica appare desacralizzata, orfana di qualsivoglia ideologia o visione del mondo.



Questo stato di cose in Italia è particolarmente aggravato rispetto agli altri paesi europei, per via della particolare storia italiana, a partire dal 1992. In negativo, possiamo dire che siamo un modello per le altre democrazie europee. Questo stato di cose è irreversibile. Chiunque pensi a ripristinare una etica della Res publica in Italia, cattolici compresi, andrebbe incontro a cocenti delusioni.

Perché tanto pessimismo? Mi si potrebbe obiettare. Non è pessimismo, è realismo. Basti considerare il mondo anglosassone, dove il pragmatismo è la tradizionale contrapposizione meramente ideologica non ha avuto mai un peso duraturo. Nel mondo anglosassone, soprattutto in America, che la politica sia un affare è un fatto acclarato, possiamo dire, da sempre. Sin dall’inizio della campagna elettorale i candidati si danno da fare per ricevere finanziamenti. Chiedere e prendere i soldi dai cittadini è la base del successo politico. Il presidente Obama quattro anni fa rinunciò al finanziamento pubblico, per rivolgersi al mercato per finanziare la propria campagna elettorale. Il suo avversario repubblicano, John McCain, invece, si limitò a usufruire del finanziamento pubblico. Il risultato fu che il primo ebbe a disposizione molti più mezzi finanziari del secondo e che la sua campagna risultò vincente. Tra i finanziatori di Obama vi erano tanti semplici cittadini di fede democratica che inviarono al loro candidato qualche dollaro, ma il molto che Obama ebbe, lo ricevette da grandi trust organizzati e non certamente a titolo gratuito. In genere dietro il candidato si forma una squadra che rispecchia, più che il partito, i finanziatori e il programma, letto tra le righe, contiene gli accordi più presentabili all’opinione pubblica, per recuperare le somme investite nella campagna elettorale e per fare profitti.



L’opinione pubblica sa perfettamente tutto questo; una parte vota per convinzione e altra parte vota per convincimento momentaneo. Ecco perché i candidati alla Casa bianca devono parlare a tutti i cittadini e si devono confrontare in ben tre dibattiti pubblici. Da ciò che dicono, così come dall’impressione che riescono a trasmettere, dipende il loro successo. Ogni giorno, poi, l’eletto è sottoposto a verifica e il suo comportamento è passato al vaglio dell’opinione pubblica e, quando qualche notizia particolare viene fuori, il Presidente viene censurato dai giornali e può finire sotto inchiesta. È accaduto a Nixon e a Clinton, in modo equanime.

Allora, siamo diventati americani pure noi? La risposta è no. In America questa dimensione materiale della politica, e – se si vuole – priva di implicazioni ideologiche, è pur sempre accompagnata dal rispetto dei principi americani del buon governo, che valgono per tutti i presidenti e sono: il rispetto della libertà, la possibilità offerta a tutti di farsi una posizione, la sicurezza nella propria casa e l’idea che bisogna mantenere alto il potere internazionale dell’aquila di Washington. Inoltre, l’esercizio del potere pubblico è accuratamente bilanciato da alcuni principi di comportamento la cui violazione determina le dimissioni o l’inchiesta giudiziaria, ad esempio non accettare regali, neppure simbolici, durante il mandato; non danneggiare, sia pure indirettamente, il proprio avversario politico; non dare luogo a scandali sessuali; ecc.

Ecco, nel nostro paese sarebbe sufficiente che l’opinione pubblica comprenda a che cosa serve la politica e che stabilisca uno statuto dell’uomo politico più preciso, senza bisogno che a ricordarglielo siano i pubblici ministeri. Quando ciò accadrà, non a breve, l’Italia ritroverebbe la sua democrazia, senza ideologia, senza infingimenti, ma anche senza grande malaffare.