La storia si ripete, insieme a tutti i suoi errori. Episodi di infiltrazione della criminalità organizzata all’interno della politica italiana ci sono sempre stati e probabilmente sempre ci saranno, ma quello che ha visto coinvolto l’assessore lombardo Zambetti ha rappresentato la classica goccia capace di far traboccare un vaso ormai colmo. Lo stesso vicepresidente del Csm, Michele Vietti, in una recente intervista a Repubblica, ha ammesso di vedere nell’attuale scenario politico “molti segnali che richiamano alla memoria gli anni Novanta, quelli di Tangentopoli”, quando il sistema dei partiti della Prima Repubblica implose a causa della diffusa corruzione “e toccò alla magistratura svolgere un’opera di supplenza di fronte all’inerzia della politica”. Come spiega a IlSussidiario.net Marcello Maddalena, procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, «il reato di corruzione è nato con l’uomo e finirà con esso. Fa parte di ogni tempo della storia umana, anche se ovviamente vi sono periodi in cui risulta maggiormente diffuso e in cui viene alla luce in maniera decisamente eclatante».



Si può però parlare di una nuova Tangentopoli?

Al momento si ha l’impressione che vi sia un’estensione del fenomeno corruttivo maggiore di quello che era ipotizzabile. Se parliamo solamente di tangenti utilizzate per raggiungere un preciso obiettivo è chiaro che vi sono punti in comune con Tangentopoli, ma non credo che quanto accaduto in queste settimane possa essere definito una prosecuzione dell’attività vista negli anni Novanta. Si tratta semplicemente di una reiterazione di fatti che, come sono emersi allora, emergono anche adesso.



Cosa crede vi sia alla base dei vari scandali venuti alla luce in questo periodo?

E’ innanzitutto necessario che le varie responsabilità vengano accertate e i diversi episodi confermati, ma ovviamente tutto fa pensare che ci troviamo di fronte a un enorme spreco di denaro pubblico e a una classe politica nazionale e locale che non riesce ad affrontare e risolvere un evidente problema di malcostume generalizzato molto forte.

Si può parlare di una “rivincita” della giurisdizione?

E’ improprio parlare di rivincita della giurisdizione. Anzi, da questo punto di vista quasi auspicherei che i fatti non fossero veri, anche se purtroppo la situazione attuale ci mette di fronte a una situazione ben diversa. Il coinvolgimento di buona parte delle istituzioni politiche è già di per sé preoccupante, eppure ciò che sconcerta maggiormente è la vastità con cui il fenomeno si sta presentando. La magistratura, fortunatamente, non ha fatto altro che fare emergere tali situazioni. 



La vostra categoria è stata spesso accusata di fare politica…

Credo sia importante innanzitutto escludere nella maniera più assoluta l’ipotesi che dietro quanto sta accadendo vi sia una sorta di complotto politico da parte della magistratura contro le istituzioni. Come avvenne con Tangentopoli, i fatti finiscono per essere sempre ammessi, quindi assistiamo banalmente a reati prima denunciati e successivamente confermati dalle indagini.

Secondo lei che cosa manca di più oggi alla politica?

L’esperienza dimostra che la creazione di un numero sempre più alto di centri di imputazione politica (Regioni, Provincie, Comuni e così via) che vengono in diversa misura finanziati da denaro pubblico, favorisce la formazione di clientele e pretese a cui l’uomo politico è particolarmente sensibile. Il problema è dunque probabilmente rappresentato da un’eccessiva proliferazione e invadenza del sistema politico in tutta la vita del Paese, a fronte di uno Stato diventato invece sempre più imprenditore e diretto soggetto economico, con tutto ciò che questo comporta. 

Cosa pensa del ddl anticorruzione, sul quale il governo si dichiara pronto alla fiducia?

Il problema di base non deve essere quello di prevedere nuove ipotesi di reato, ma di accertare le responsabilità. E’ questo il principale obiettivo e, come ho più volte sostenuto, sono dell’idea che il disegno di legge più efficiente contro il fenomeno della corruzione sia quello elaborato dal pool di Milano nel 1994.

Su cosa si basava in particolare?

Sull’importanza di agevolare soprattutto la collaborazione di colui che corrompe, offrendo dei vantaggi a chi sceglie di denunciare questi fatti, fino al limite dell’impunità. Anche solo sul piano preventivo, credo che una misura del genere possa ostacolare incisivamente il fenomeno corruttivo. Faccio un esempio: una persona disponibile ad essere corrotta, sapendo che chi le sta promettendo qualcosa può successivamente esonerarsi dalle responsabilità denunciando il fatto, ottenendo anche l’impunità, difficilmente deciderà di raggiungere un accordo. E’ necessario dunque rompere quel legame che unisce il corrotto e il corruttore. Su questo aspetto l’attuale ddl non mi sembra che risulti essere abbastanza incisivo.

E, nello specifico, cosa pensa del cosiddetto reato di traffico di influenze?

Non vorrei che fosse un reato di difficile accertamento e interpretazione, proprio per la genericità della parola “influenze”. Alcune espressioni sono state riesumate da precedenti normative di inizio 900 ma successivamente eliminate proprio per la loro genericità, o a causa dell’estrema difficoltà dell’accertamento.

Cosa pensa della decisione della Consulta di non applicare i tagli agli stipendi dei magistrati?

In un periodo di grave emergenza economica, ritengo che ognuno di noi debba fare dei sacrifici. E’ poi ovvio che possono esistere differenziazioni anche in considerazione di altri fattori, come la maggiore sicurezza e la stabilità di un lavoro rispetto ad un altro, ma ci sono dei limiti che non consentono, come ha stabilito la Corte, di arrivare a differenziazioni irragionevoli.

 

(Claudio Perlini)