Aveva annunciato un “gesto forte” e il segnale è effettivamente arrivato. Roberto Formigoni azzera la giunta lombarda e annuncia una drastica riduzione del numero degli assessori. I termini dell’accordo sul proseguo della Regione Lombardia sono stati raggiunti durante l’incontro avvenuto oggi a Palazzo Grazioli con Angelino Alfano e Roberto Maroni. “Procederò nei prossimi giorni a dar vita a una giunta nuova, ridimensionata nel numero e scegliendo persone che siano in grado di portare avanti le politiche di eccellenza fatte in tutti questi anni dalla Regione Lombardia”, ha detto Formigoni al termine dell’incontro, aggiungendo di essere pronto a lavorare a un “programma rinnovato con provvedimenti di riforma del sistema sanitario, del welfare e dell’organizzazione dell’amministrazione delle regioni del Nord”.
Tregua raggiunta, dunque, con il segretario della Lega Nord Roberto Maroni che, a seguito dello scandalo scaturito dall’arresto dell’ex assessore Domenico Zambetti (Pdl), aveva chiesto a gran voce l’azzeramento della giunta, dicendosi pronto ad andare alle elezioni: “Ieri avevamo chiesto a Formigoni di azzerare la giunta o di dimettersi. Abbiamo ottenuto quello che avevamo chiesto, ovvero l’azzeramento della giunta, quindi abbiamo il dovere di andare avanti”, anche perché “siamo responsabili del governo della Regione Lombardia”, ha spiegato Maroni in conferenza stampa. Un dovere che rasenta però quasi l’obbligo, visto che sia Pdl che Lega, in questo momento, difficilmente potrebbero pensare di uscire vincitori da eventuali elezioni.
Come spiega a IlSussidiario.net Alessandro Amadori, politologo e fondatore di Coesis Research, di cui è direttore, «anche in Lombardia, da maggio fino a oggi, è avvenuto un processo di forte indebolimento del centrodestra, parallelamente a un’altrettanto forte crescita dell’area degli indecisi e del potenziale non voto. Prima la destrutturazione della Lega, poi lo stillicidio, anche di immagine, che da mesi accade intorno all’amministrazione Formigoni: tutto ciò rende chiaramente probabile una vittoria del centrosinistra». Amadori chiarisce dunque che la situazione della Lombardia è ora ampiamente allineata al resto d’Italia: «Non esiste più quella tendenziale biforcazione tra gli atteggiamenti in Lombardia e in Veneto da una parte e il resto d’Italia dall’altra. E’ una crisi sistemica che sta colpendo trasversalmente tutte le regioni e produce atteggiamenti simili, vale a dire l’indebolimento del centrodestra, il mantenimento della posizione del centrosinistra, la crescita del non voto e un rafforzamento del voto “alternativo”, rappresentato soprattutto dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, stabilmente oltre il 10%».
Il quadro appare dunque omogeneo e, continua a dirci Amadori, «tutte le aree d’Italia si stanno somigliando più di quanto abbiano mai fatto probabilmente nell’ultimo decennio». La Lega invece non decolla e resta stazionaria intorno al 5-7%: «Parliamo di un partito che ha subìto un forte processo di indebolimento dal quale non si è ancora ripreso. E’ certamente conclusa la fase calante di destrutturazione, ma ancora non si può parlare di una concreta ripresa. Con il Pdl che oscilla tra il 15 e il 20% e la Lega che invece è tra il 5 e il 7%, anche unendosi i due schieramenti potrebbero arrivare al massimo al 27%, vale a dire la consistenza elettorale del Partito Democratico. Di conseguenza – conclude Amadori – basterebbe una qualsiasi alleanza del Pd con almeno un altro soggetto, che sia Udc, Idv o Sel, per determinare un’automatica vittoria del centrosinistra».
(Claudio Perlini)