Il disegno di riforma della legge elettorale approvato in commissione Affari costituzionali, in Senato, benché sia riuscito a ricompattare l’antico centrodestra – Pdl-Lega-Udc – sta creando non poche frizioni in seno al Popolo della Libertà. In sintesi, prevede un premio di maggioranza del 12,5% alla coalizione vincente e la reintroduzione delle preferenze. Ma, su quest’ultimo punto, si è acceso il dibattito. 40 parlamentari pidiellini – tra i quali figurano Andrea Orsini, Enrico La Loggia, Peppino Calderisi, Giuliano Cazzola, Antonio Martino, Stefania Prestigiacomo, Eugenia Roccella, Giuseppe Cossiga, Melania Rizzoli e Fiamma Nirenstein – hanno sottoscritto una lettera destinata a Berlusconi e Alfano in cui denunciano le «gravi e molteplici controindicazioni» del metodo elettivo: «il costo elevatissimo delle campagne elettorali individuali, inevitabile anticamera della corruzione, e l’influenza delle lobby e degli interessi particolari». Frattanto, l’onorevole Giorgia Meloni si sta occupando di raccogliere le firme da apporre ad un testo di segno opposto. Abbiamo chiesto al capogruppo in Senato del Pdl, Maurizio Gasparri, di spiegarci perché, pur non risultando tra i firmatari, è tra quelli favorevoli alle preferenze.
Perché il sistema è preferibile ad altri?
Nessun metodo è perfetto. Tuttavia, le preferenze consentono all’elettore di scegliere, oltre al partito e all’area politica, la persona. Rendono quindi possibile votare in base ai propri orientamenti ideali ma anche di esprimersi in base alla propria categoria, destinandone in Parlamento chi ne considerano l’alfiere. Oltretutto, evitano la circostanza in cui si trova quando si è obbligati a votare un candidato non gradito.
Come la mettiamo, però, con i rischi di infiltrazioni criminali e del voto di scambio?
I fenomeni di infiltrazioni criminali sono favoriti maggiormente dai collegi. In un collegio, poniamo, di centomila abitanti, una cosca criminale è in grado di determinare l’esito delle elezioni con poco sforzo concentrato, spostando a vantaggio di un candidato poche unità di persone.
Lei, tuttavia, escluderebbe tali rischi dalle preferenze?
No. La criminalità organizzata è in grado di condizionare qualsiasi tipo di competizione elettorale. Mi meraviglia, tuttavia, il fatto che nessuno, tra coloro che attribuiscono alle preferenze particolare capacità di attrarre fenomeni criminosi, abbia mai proposto di abolirle anche per le elezioni comunali, regionali ed europee. Nei giorni scorsi, oltretutto, anche la sinistra ha approvato al Senato un disegno di legge che ha rafforzato le preferenze nel caso delle amministrative, introducendo una seconda scelta, purché di genere diverso dalla prima.
In ogni caso, il problema non può rimanere ignorato
Certo che no. I comportamenti illegali vanno perseguiti con durezza, sia inasprendo le sanzioni per chi traffica con i voti, sia irrobustendo i poteri delle istituzioni preposte alla sorveglianza e al controllo. L’alternativa, per avere la certezza di non avere infiltrazioni o voti di scambio, è quella di abolire del tutto le elezioni.
Come mai al Pd le preferenze sono così invise?
Pensano gli convenga il sistema dei collegi perché, storicamente, sono sempre riusciti a mantenere un certo grado di coesione su un determinato candidato; oltretutto, sono abituati ad un sistema in cui è il partito a imporre le scelte. D’altro canto, il Partito Comunista, anche con le preferenze, imponeva agli elettori chi votare città per città tra i vari candidati.
Dicono che chi, in seno al Pdl, contrasta le preferenze, lo fa per paura di non essere rieletto. O per il timore che gli equilibri nel partito si spostino in favore di voi ex An, notoriamente più bravi a stare sul territorio
Questo non è vero. Se lo fosse, nei Comuni e nelle Regioni ci sarebbe ovunque una maggioranza schiacciante di ex An. Può essere verosimile, invece, che alcuni, non abbiano l’abitudine a questo tipo di competizione, essendo sempre stati eletti in liste bloccate.
(Paolo Nessi)