«Questa legge riuscirà a ridurre la frammentazione partitica e a garantire la governabilità o no? Francamente credo che ci siano delle perplessità». È fin troppo chiaro il commento che Leonardo Morlino ha fatto della proposta di legge elettorale approvata dalla commissione Affari costituzionali al Senato (con 16 sì e 10 no). Morlino, Docente di Scienza politica all’Università di Firenze, è uno tra i più esperti politologi italiani e IlSussidiario.net lo ha intervistato per chiedergli un riscontro scientifico di tutte le argomentazioni che in questi giorni si leggono e ascoltano su stampa e in televisione in merito alla tanto agognata riforma della legge elettorale. Il testo, vale la pena ricordarlo, prevede un premio di maggioranza fissato al 12,5% per la coalizione da assegnare sia per la composizione della Camera, sia per quella del Senato; uno sbarramento per entrare in Parlamento fissato al 5%, che scende al 4% per i partiti che scelgono di coalizzarsi; una ripartizione dei seggi su base circoscrizionale e non nazionale; e due terzi dei seggi assegnati con le preferenze e un terzo con i listini bloccati. Anche se ha un giudizio molto critico su questa prima bozza e in particolare sul ritorno alle preferenze, Morlino non ha dubbi in merito a una cosa: «Se un accordo non si raggiunge ora non si raggiungerà mai».
Professore quella approvata dalla commissione le sembra una buona proposta?
La proposta complessivamente ha diversi problemi. Prima di tutto, qual è l’obiettivo essenziale che una legge elettorale dovrebbe raggiungere?
Garantire la governabilità.
Appunto: contribuire a ridurre la frammentazione partitica per garantire la governabilità. Ma una proposta come questa siamo sicuri che possa raggiungere l’obiettivo della governabilità? Io dico di no. O almeno non ne abbiamo la certezza. Credo che, anzitutto, sarebbe meglio pensare a un premio di maggioranza più consistente che non il 12,5%. Una soglia di sbarramento del 4/5% poi è tra le più basse che si possono immaginare. E questo accade perché, come al solito, ci sono diversi interlocutori che devono trovare un accordo e questo accordo viene trovato al livello più basso.
A tenere banco negli ultimi giorni è stata la discussione se sarebbero meglio le preferenze o i collegi. Lei, come politologo, che idea si è fatto?
Sul tema delle preferenze ci sono sia un’ampia letteratura sia molte ricerche, alcune delle quali in particolare proprio sul caso italiano, che dimostrano che la preferenza è stata tipicamente utilizzata dalla politica come un modo per ottenere il cosiddetto voto di scambio, di assicurarsi un voto di tipo clientelare. È vero che i tempi sono passati e certe culture anche, ma sono molti gli studiosi che si sono già espressi contro le preferenze.
Enrico La Loggia, intervistato da IlSussidiario.net ha definito le preferenze come “il maggior elemento di inquinamento dell’attività politica”. È questo che teme?
Invocare le preferenze significa certamente riproporre il tema del rapporto tra eletto ed elettore ma fa correre anche il rischio di ritornare alla possibilità di un voto di scambio o di tipo clientelare. Con le preferenze è così da sempre. Non si ricorda in passato dove ha avuto origine il tema dell’abolizione delle preferenze? Ma in Italia è come se non si volesse imparare mai dal passato. Oltretutto conosciamo benissimo il comportamento di voto di alcune regioni d’Italia e vogliamo rimettere le preferenze? Francamente lo trovo irresponsabile. E questo non è un discorso né di destra né di sinistra. Ma oggettivo. Io non capisco perché in alcuni ambiti ci si sia legati a questo tema delle preferenze. Io come elettore non le gradirei davvero.
Ho capito. Lei cosa si sente di suggerire?
La soluzione migliore sarebbe, se non si vogliono fare i collegi uninominali, fare almeno collegi con un numero molto ridotto di seggi messi in palio, anche 2 o 3, come succede nel sistema spagnolo, in cui il rapporto tra l’eletto e l’elettore è comunque garantito. Non si vogliono mettere i collegi uninominali? Benissimo ma il rapporto tra eletto ed elettore può essere salvaguardato anche dai piccoli collegi. Oltretutto i collegi piccoli assicurano anche indirettamente una riduzione della frammentazione. E si potrebbero così prendere due piccioni con una fava.
Di che modello elettorale ha bisogno l’Italia?
Io non voglio offrire nessun modello elettorale. Quello che penso l’ho già detto. E qualunque cosa si faccia va benissimo purchè sia garantita la governabilità. L’Italia ha bisogno di un governo che possa essere effettivo e che abbia la capacità di prendere le decisioni. E questo lo si ottiene semplicemente dando la possibilità di creare coalizioni o comunque governi con maggioranze consistenti. Altrimenti torniamo indietro al governo Prodi.
Bisogna cambiarla subito la legge elettorale?
Credo che questa sia una chance irripetibile nella storia italiana dal dopoguerra ad oggi. Se un accordo non si raggiunge ora non si raggiungerà mai.
(Matteo Rigamonti)