Se vi capitasse di non riuscire a capire che cosa ha in mente Silvio Berlusconi non traetene frettolose conclusioni a danno della vostra autostima. Siete in buona compagnia: nemmeno quelli che hanno maggiore dimestichezza col Cavaliere lo hanno ben chiaro e l’impressione in definitiva è che non lo sappia nemmeno lui, fino in fondo.



Raccontano di un Berlusconi pubblicamente prodigo di incoraggiamenti per Angelino Alfano e leale con Monti, che poi in privato si fa convincere dagli ultrà alla Brunetta-Santanché e compulsa i fedelissimi: “Tu con chi stai, con me o con i traditori?”. Dove i traditori sarebbero quelli che prendono per buono quello che lui stesso ha a più riprese dichiarato (senza esserne convinto, evidentemente) e cioè di voler lasciare, rinunciando alla ri-candidatura a premier. Di fatto, insomma, il Cav coltiva segretamente l’idea di uno spacchettamento del partito, il fu-Pdl, in due o tre tronconi anche se forse è solo un modo per prendere tempo, continuando a dare ragione un po’ a tutti: ex An, pasdran berlusconiani – quelli che lo hanno rovinato, creandogli una cortina fumogena intorno a coprire la realtà – e fautori del Ppe guidati da Angelino Alfano con i vari Frattini, Lupi e Mario Mauro al fianco.



Aspetti comici e tragici si intrecciano. Se non fosse che in ballo c’è la concreta e serissima problematica della rappresentanza dei moderati – brutta parola che in definitiva si riferisce alle persone di buon senso, famiglie e piccoli imprenditori, amanti più della concretezza della vita che dei furori ideologici – ci sarebbe di che ridere, come induce ad esempio il bel pezzo di Monica Guerzoni del Corriere sul matrimonio di Susanna Petruni, simpatica giornalista Rai che non ha fatto in tempo ad acquisire la direzione di una testata del servizio pubblico per sopraggiunta disgrazia politica dello sponsor di Arcore. Uno scenario fatto di barzellette non nuovissime accanto a proclami politici discutibili. Ad esempio lo “stato di polizia tributaria” e la tassa “patrimoniale” aborriti dal Cavaliere sono, è vero, realtà distanti anni luce da una visione liberale, ma Berlusconi – populismo a parte – dovrebbe rendersi conto che non è più tollerabile che la tassazione insegua solo i soliti noti, cioè quelli che non hanno modo di portare i capitali all’estero o di nascondere i propri possedimenti dietro scatole cinesi complicatissime. Qualcosa, insomma, si dovrà pur inventare per far quadrare i conti, e se ci avesse pensato Berlusconi prima con maggiore decisione, sfidando l’impopolarità, non saremmo a questo stato di cose con le misure drastiche che ormai la situazione richiede. E poi, giusto per ricordarlo, le armi improprie messe in campo da Equitalia, ora nel mirino del Cavaliere, le ha approvate proprio lui, o comunque il suo governo.



Lo smarrimento di Berlusconi (mezzo con Alfano e mezzo contro; mezzo con Formigoni e mezzo con Maroni e, sulla legge elettorale, mezzo a favore delle preferenze e mezzo che si terrebbe il Porcellum) è tutt’uno con l’attuale sbandamento e disaffezione dal voto dell’elettorato moderato, tanto che se non cambia qualcosa una sinistra più compatta alle urne è destinata a vincere a mani basse. Questo lo capiscono tutti, e in questi giorni si muovono tante cose per tentare di porvi rimedio. Si muove il gruppo dei cattolici di Todi (con il sostegno esterno di Emma Marcegaglia e la benedizione di Pierferdinando Casini) che fra qualche giorno dovranno mettere in campo la loro strategia. E cioè una lista di pieno sostegno a Monti, federata con l’Udc e in grado di assumere – negli auspici – la guida dei moderati, in collegamento con quel che resta del Pdl, o almeno con la parte che aderisce sinceramente al Ppe e si butta dietro senza incertezze ulteriori Berlusconi e il berlusconismo. In questa area, fra Todi e Casini, ma con un certo distacco verso i contenitori politici e maggiore propensione verso l’impegno governativo (nel caso Monti non fosse più disponibile) si muove anche Corrado Passera, che sta giocando da ministro la sua difficile scommessa sulla crescita e se dovesse riuscirvi sarà certamente l’uomo di maggiore peso della compagine di governo e con migliore appeal per giocare un ruolo importante anche in futuro.

Ma in campo c’è anche – sì, no, forse – Luca di Montezemolo, federato con l’iniziativa di Oscar Giannino (“Fermare il declino”). Impensabile però, allo stato, un pollaio in cui cantino insieme il gallo che è alla guida della Ferrari e la gallina di acciaio (sia detto senza intenzioni irridenti) che ne aveva preso il posto a Confindustria. I rapporti non buoni fra Montezemolo e Marcegaglia, infatti, sono ben noti e in questi ultimi mesi si è aggiunta anche un’incomunicabilità del presidente della Ferrari con Passera il quale – avendo avuto il coraggio di sporcarsi le mani con la concreta gestione, mentre l’altro manda ancora avanti gli analisti di ItaliaFutura – deve aver scatenato un processo di gelosia in Montezemolo, dopo le vacanze insieme di un tempo, di difficile gestione.

Casini dal canto suo sa che la macchina del suo partito è usurata e non aspira a rigenerarla. Spera solo che venga fuori un’iniziativa credibile al centro, da tutti questi movimenti, e conta di avere una immagine meno logorata rispetto a Berlusconi, sì da potercisi alleare. In questo quadro ritorna però centrale una capacità di iniziativa, coraggiosa quanto tardiva, nel fu-Pdl. Un’iniziativa che più avrà il coraggio, o la crudeltà, di lasciare per strada alleati ormai non più idonei alla causa e più potrà riguadagnare un spazio operativo, nel solco del Ppe, con nuovi compagni di strada. Su tutti gli esponenti del Pdl, tutti, pesano però gravi responsabilità del passato, anche recente. Ad esempio pesa l’aver teorizzato, al momento della cacciata di Fini, che quell’atto fosse finalizzato a “servire il popolo”, com’era scritto nel documento varato in quell’occasione, argomento troppo altisonante e degno di miglior causa rispetto all’obiettivo reale, e terra terra, di uniformarsi al capo nell’ambito di una resa di conti interna. Una bega che andava invece usata per aprire un processo di dibattito interno nel Pdl finché si era in tempo. Errori che pesano e si pagano. 

 

Ma è arrivato il momento di ritrovare il coraggio delle proprie azioni, se non è troppo tardi. Tutto frana, basta guardarsi intorno, e se c’è tanto da salvare – è vero – non è il momento di impuntarsi e di chiudersi a riccio, semmai quello di una sana autocritica, nel Pdl. Per poter costruire su basi nuove, proprio per salvare − su basi nuove − la parte buona del lavoro profuso, inquinato da compagnie imbarazzanti, piccole convenienze, prassi discutibili e cieche obbedienze.

E in queste ore viene in aiuto il ben noto e proverbiale autolesionismo della sinistra. Dovevano fare la carta d’intenti comune per le primarie allo scopo di vincolare anche Vendola all’agenda Monti. Il risultato invece è che non si vincola più neanche il Pd, per non dare un dispiacere alla Cgil e allo stesso Vendola. Non c’è traccia, infatti, della parola Monti nel documento unitario dei candidati alle primarie, mentre sono tutti d’accordo sulla regolamentazione delle coppie gay. Stando così le cose Casini lo hanno rispedito per forza di cose nell’altra metà campo da cui proveniva, e se Berlusconi si farà davvero da parte, e se la parte migliore del Pdl prenderà in mano la situazione, il partito unico dei moderati nel solco del Ppe potrebbe davvero essere più vicino.