Pier Luigi Bersani non rottama nessuno, tanto meno il compagno di partito ai tempi del Pci. Tornando sulle polemiche di questi giorni, il segretario del Pd ha rinnovato il forte legame con Massimo D’Alema, dicendosi convinto che “sul concetto di rottamazione combatterà fino alla morte, ma sul rinnovamento c’è. Quindi faremo un rinnovamento lavorando tutti insieme”. D’Alema, dal canto suo, lancia un chiaro messaggio: “Chi mi crede finito sbaglia di grosso”. Parole che velocemente raggiungono Matteo Renzi, impegnato però ad attaccare Bersani riguardo il repentino cambio di regole delle primarie. Secondo Peppino Caldarola, contattato da IlSussidiario.net, D’Alema ha già espresso l’intenzione di farsi da parte, “ma di certo non lo farà sotto il fuoco della campagna di Renzi”.
Bersani e D’Alema: un’unione prettamente generazionale contro i “rottamatori” del partito?
Credo che entrambi stiano profondamente riflettendo sulla natura stessa del Pd. A tenerli insieme c’è l’idea di un partito che possa guardare con maggiore attenzione alle socialdemocrazie europee e al tema della coesione sociale: l’idea di un Pd, per dirla in breve, un po’ più di sinistra. In secondo luogo, sia Bersani che D’Alema sanno benissimo che la prossima partita si giocherà soprattutto sul tema della ripresa di campo da parte della politica e della conclusione della stagione dei tecnici, anche se questo dipenderà molto dal risultato elettorale.
Su cosa può contare soprattutto un’alleanza del genere?
In qualunque partito, compreso il Pd, il tentativo principale della politica è quello di affrontare rinnovamenti anche radicali senza però perdere mai le proprie radici e senza rinunciare all’esperienza. Il primo governo Prodi, quando decise di nominare il ministro dell’Interno, non si rivolse a un giovane ma a Giorgio Napolitano, quindi credo che anche in questo caso vi sia l’intenzione di rappresentare un paracadute che possa consentire un atterraggio sicuro sulle basi solide del partito. Se poi sarà possibile praticare questa idea, dipenderà soprattutto dal risultato che otterrà Renzi.
A proposito di Renzi, la frattura con Bersani si sta ormai delineando sempre più chiaramente: semplice battaglia preelettorale o comincia a notare divisioni insanabili?
Il rapporto sta effettivamente assumendo aspetti insanabili. La polemica di Renzi intende porre a molti elettori e militanti del Pd una questione di fondo, domandandosi se il partito vuole ancora conservare un rapporto con la sinistra oppure no. Renzi dà l’idea di voler rottamare non solo le persone, ma soprattutto il legame stesso con la sinistra, e questo potrebbe non piacere a tanti. C’è poi una particolare modalità con cui Renzi porta avanti la propria campagna polemica.
Quale?
In particolare un eccesso di personalizzazione e di aggressività che a sua volta ne provoca altra da parte di coloro che intendono rispondergli. Per questo motivo nel Pd potrebbero essere in molti a vedere in lui non una leadership solida, obamiana, ma che di fatto provoca fratture. Questo potrebbe effettivamente spingere gli elettori a scegliere una personalità decisamente diversa, come quella di Bersani.
Si stanno dunque delineando due diverse idee di sinistra?
Il Pd, come disse una volta D’Alema, è una “amalgama malriuscito” che può impazzire definitivamente se ciascuna componente tenta di tradurlo in una cosa propria: da una parte la sinistra lo vuole trasformare in un partito tutto socialista, dall’altra Renzi che vede invece un partito con forte ascendenza neodemocristiana. In questo senso la responsabilità che si sta assumendo Renzi è molto forte ma, già ponendo tali questioni, è ormai chiaro che è stato introdotto un elemento non di dibattito ma di lacerazione.
Come si inseriscono Idv e Sel nelle proposte messe in campo da Bersani e Renzi?
In questo momento credo che l’Idv sia sostanzialmente fuori dai giochi. Sia Bersani che D’Alema hanno a mio giudizio intenzione di estrometterlo, essenzialmente per due ragioni: innanzitutto a causa di una frattura con il Quirinale che il Pd non potrà mai assecondare e, in secondo luogo, in prospettiva di un dialogo con il mondo che fa capo a Casini, il quale non accetterebbe mai un rapporto di qualsiasi tipo con Di Pietro. Con Vendola esiste invece un tentativo di includerlo nel progetto: il leader di Sel ha inoltre di fronte a sé la scelta di proporre nei prossimi mesi al Pd una sorta di federazione, anche perché non credo che Sel possa ancora camminare a lungo sulle proprie sole gambe.
Bersani ha detto che “se la sera delle elezioni non c’è un vincitore, si rivà a votare dopo otto mesi. Da una situazione frantumata, balcanizzata, viene fuori Grillo e non il Monti bis”. Cosa ne pensa?
La presenza di Grillo in Parlamento sarà comunque cospicua, anche se i sondaggi gli assegnano probabilmente più voti di quelli che effettivamente realizzerà. Non credo però che abbia ragione Bersani perché, se la situazione non dovesse dare un risultato certo, credo che sentiremmo tutti il bisogno di affidarci a un governo di più larga base parlamentare. Che a quel punto potrebbe essere guidato dallo stesso Monti.
Insomma, secondo lei qual è il Pd che gli elettori attualmente preferiscono?
Il Pd deve trovare la forza di parlare al Paese, mentre in queste settimane non sta facendo altro che parlare di sé stesso, dei propri leader e dei mandati parlamentari, il che non credo faccia moto piacere agli italiani. In secondo luogo i sondaggi dicono che non c’è una coalizione possibile che sia in grado di arrivare al 40%, quindi è chiaro che ci troviamo di fronte a una base parlamentare troppo fragile per il prossimo governo. In tutti i casi sono dell’idea che gli italiani, come è sempre accaduto nella storia di questo Paese, non si rivolgeranno al più rivoluzionario ma a quello che riuscirà a dare più rassicurazioni.
(Claudio Perlini)