“A me non mi rottama nessuno”. È solo uno dei cento ruggiti, tweet (“Primarie di coalizione? Immagino che sia uno scherzo”) e bollettini di guerra con cui il leone ferito Roberto Formigoni si sta da giorni battendo “contro”. Già, ma “contro” che cosa, esattamente?
Oramai non più contro la forza di gravità che ha trascinato in caduta libera e ineluttabile la sua maggioranza e la sua giunta, tra colpe politiche o giudiziarie variamente attribuibili e giudicabili, ma tant’è. Di certo, combatte per contrattare i termini di un’uscita dal campo dignitosa – onore delle armi e possibilità di iscriversi al prossimo torneo – a cui ha senza dubbio diritto, come ha diritto di rivendicare il bilancio positivo della sua storia politica. Infine, ed è l’essenziale, l’ormai ex governatore della Lombardia combatte per guadagnarsi un ruolo nella nuova fase politica, e ritagliarsi l’ipotesi di un progetto percorribile. Con i compagni di strada vecchi o nuovi che troverà.
Ma è proprio in questa battaglia che Formigoni si trova a combattere contro tutto e contro tutti. E nel caos politico generale del centrodestra, di cui la Lombardia è ad un tempo spia e vittima, le regole d’ingaggio non le decide più lui, il Governatore Celeste per lunghi anni abituato a guardare dall’alto la situazione. Gli elementi sul campo sono complicati e scivolosi, è difficile trovare una logica.
Ancora venerdì sera Formigoni si è incontrato a Roma con Angelino Alfano. I termini del dissidio con il segretario del Pdl (o col Pdl, qualsiasi cosa l’espressione voglia dire) sono ormai evidenti. Avevano trattato un patto a tre con Roberto Maroni per guidare un’exit strategy morbida della legislatura regionale. Poi Maroni ha rovesciato il piatto (in politica è legittimo). Ma Alfano, non si sa se davvero convinto e in linea su questo con Silvio Berlusconi, e sembra sospettabile il contrario, ha deciso di non rompere con Maroni, e provare a fiutare la pista di una rinnovata alleanza. Cosa che sarebbe né più né meno, dal punto di vista del governatore uscente, che il calcio dell’asino. Inaccettabile. Formigoni ha minacciato di fare una lista sua, piuttosto. Ipotesi improbabile, ma intanto è un altro segnale lanciato. Poi c’è la questione della data del voto. Formigoni insiste perché avvenga al più presto, a dicembre: una piccola soddisfazione da après mois le déluge, ma soprattutto il segnale di avere in mano il pallino per una soluzione della crisi lombarda. Ma Alfano ieri ha tenuto il punto: “Non penso si voti a dicembre”. Mentre Matteo Salvini, per conto della Lega, ha cantato un inno all’election day. Per Formigoni sarebbe una sconfitta nella sconfitta, un segno di debolezza.
Ma non è tutto così semplice, i suoi competitor non sono poi davvero più in forma di lui. Innanzitutto sul fronte Lega, dove Maroni deve mettersi d’accordo con se stesso: vuole una Lega antimontiana che corra da sola e pulita? O vuole tornare a un accordicchio con il Pdl, che potrebbe essere smentito già alle Politiche? “Se Lega e Pdl si dividono in Lombardia, regalano la Lombardia alla sinistra, e lo vorrei evitare”, ha detto Maroni. Bene, ma dopo? Nessuno lo sa, Maroni nel weekend si farà incoronare leader della Lega da primarie interne e inutili. Ma intanto dice che parteciperebbe a quelle di coalizione. Insomma, sotto questo profilo, il problema tra Alfano e Maroni non è Formigoni. E’ Maroni.
Ma poi, soprattutto, “quale” Pdl? Decisamente non si sa. Allo stato attuale e nel clima di delirio che ha ormai invaso il partito, scommettere che il Pdl esisterà ancora tra qualche mese – se si votasse in primavera, con le politiche – è un azzardo. Con quale autonomia e potere reale Angelino Alfano rifiuta, da apparente posizione di forza, le ipotesi di Formigoni? E se davvero una parte del Pdl pensa a un candidato al Pirellone come Gabriele Albertini, perfetto ponte con i centristi (si parla di abboccamenti siciliani tra Alfano e Casini), come si concilia con l’altra parte del Pdl che guarda invece alla Lega? Dr. Jackyll e Mr Hyde, esattamente come il suo sempre più indecifrabile capo Silvio Berlusconi, il Pdl deve risolvere i suoi interrogativi, e deve farlo in fretta. In Lombardia, Alfano deve inoltre decidere se gli convenga di più Formigoni al fianco, o contro. Anche se i conti sull’elettorato di Formigoni, non li può fare nemmeno Formigoni. E’ in questa situazione che il Governatore ferito – al netto di tutti i personalismi – può giocare la sua partita per far sì, supponendo che sia questo il suo intento, che il centrodestra moderato che arriverà dopo di lui non sperperi in un battibaleno la sua eredità.