Probabilmente il ministro Patroni Griffi non pensava che, tra gli effetti collaterali della Spending Review, ce ne sarebbe stato uno così imprevedibile. Secondo il provvedimento, nell’ambito del riordino e dell’accorpamento delle Provincie con meno di 350mila abitanti e meno di 3mila km quadrati, Piacenza e Parma dovrebbero unirsi. Ma i piacentini non ci pensano proprio. Se così stanno le cose, allora, tanto vale lasciare l’Emilia-Romagna, hanno pensato. E così, il consiglio provinciale ha depositato un referendum a cui la Cassazione ha dato il via libera; i cittadini piacentini dovranno scegliere, in sostanza, se essere annessi o meno alla Lombardia. E ci sono svariate probabilità che opteranno per il sì. Ora la Presidenza del Consiglio avrà 90 giorni per decidere quando indire la consultazione referendaria. Con ogni probabilità, la data coinciderà con le prossime politiche. A primavera, quindi. Dopo l’eventuale responso positivo, in ogni caso, sarà compito delle due Regioni interessate dar vita all’iter legislativo per completare il processo. Al di là del fattibilità concreta, la vicenda fa emergere rivendicazioni politiche ed economiche che da tempo animano la Regione. Ne abbiamo parlato con Vittorio Ferri, docente di Programmazione economica e politiche del turismo presso la Bicocca di Milano.
Anzitutto, l’annessione della Provincia di Piacenza alla Lombardia è una strada legalmente percorribile?
La spending review, nella sua impostazione, prevedeva l’impossibilità di mettere in discussione i confini regionali. L’ipotesi, quindi, mi risulta difficilmente praticabile. Non per questo, tuttavia, è impossibile, anche se l’iter legislativo per giungere ad un’annessione è estremamente complicato e consta di più gradi.
In ogni caso, crede che un piacentino possa avere effettivamente interesse a diventare ufficialmente lombardo?
Va detto, anzitutto, che da un punto di vista elettorale Piacenza – ma anche Parma – è sempre stata piuttosto ibrida rispetto all’omogeneità politica di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Ravenna-Folì-Cesena o Ferrara. Detto questo, ormai da tempo i piacentini gravitano su Milano. L’analisi dei dati relativi al pendolarismo, per esempio, dimostra come i flussi da Piacenza verso la capitale Lombarda siano estremamente superiori a quelli che vanno da Piacenza verso il resto dell’Emilia.
Perché?
L’offerta di Milano in termini di lavoro o formazione universitaria è decisamente più attrattiva non solo rispetto a quella di Parma, ma anche rispetto a quella di Bologna. E, d’altro canto, ci sono sempre state rivendicazioni, da parte di Piacenza, rispetto al fatto che la Regione abbia sempre trascurato la Provincia
In generale, perché una provincia dovrebbe ritenere preferibile essere annessa alla Lombardia?
Perché la sua efficienza e la sua virtuosità sono evidenti. Non dimentichiamo che, assieme al Baden-Württemberg (Germania), alla Catalogna (Spagna), e al Rhône-Alpes (Francia) è considerata uno dei quattro motori dell’Europa. Rispetto ad esse, oltretutto, vanta parametri in termini di spesa pro capite per il proprio personale estremamente significativi. Per non parlare, poi, del confronto con le altre Regioni italiane. E’ noto, inoltre, come la sua sanità – la voce di bilancio principale delle Regioni – sia in grado di attrarre cittadini dal resto d’Italia. Di recente, infine, la Corte dei Conti, le cui analisi sono sempre estremamente valide e impietose, ha certificato come sia l’unica amministrazione ad avere i bilanci in ordine.
Secondo il professor Giancarlo Pola non è escluso che l’eventuale messa in discussione dei confini regionali potrebbe rappresentare il preludio alla creazione della macroregione del nord
E’ un processo che, effettivamente, ha un suo fondamento, a partire dagli studi realizzati dalla Fondazione Agnelli. La costruzione di macroregioni al nord, al centro e al sud, è un’ipotesi fondata sull’omogeneità territoriale ed economica che, tuttavia – ribadisco – trova dei paletti, anzitutto, nel provvedimento del governo.
(Paolo Nessi)