Caro Direttore, l’attuale crisi che attraversa la Regione Lombardia segnala da mesi un costante superamento dei singoli fatti e delle persone coinvolte. Roberto Formigoni infatti non è solo un esponente di punta del Pdl ma ha una storia propria, un’appartenenza specifica, una vocazione ben identificabile: è infatti un allievo di don Luigi Giussani ed ha fatto di quel legame la ragione principale della sua vocazione in politica. Proprio in relazione a quest’appartenenza esplicita, l’attacco a Formigoni chiama in causa non tanto e non solo il Pdl ma il movimento di Comunione e liberazione. L’intervento di Julián Carrón, presidente di Cl, comparso il 1° maggio scorso sulle pagine di Repubblica – e che oggi converrebbe rileggere – è direttamente conseguente a quest’appartenenza esplicita e incontrovertibile. La lettera di Carrón è stata tuttavia rapidamente interpretata e ridotta ai codici propri dell’azione e della strategia politica. Per recuperarne una comprensione piena è necessario partire da don Giussani stesso e dalla sua vocazione.
Don Giussani non è stato solo l’ispiratore e il fondatore del movimento di Comunione e liberazione, ma ne è tuttora il cuore e l’anima. Siamo dinanzi ad un portatore di carisma personale che parla a testimonianza di un incontro con Cristo, che si è realizzato attraverso la Chiesa e gli ha cambiato l’esistenza: l’intera opera di don Giussani traduce costantemente il dovere testimoniale, l’energia educativa e la volontà fondatrice conseguenti a quest’incontro. Comunione e liberazione, di conseguenza, non è riducibile alla sua struttura organizzativa come può esserlo un qualsiasi altro movimento essenzialmente politico – con colonnelli, quadri regionali, truppe scelte, manovalanza e lotte di potere – ma è costantemente attraversata, scossa e trasformata, da un elemento caratterizzante: la convinzione assoluta circa la storicità effettiva dell’Incarnazione del Figlio di Dio, con tutto ciò che ne consegue.
Ostinarsi a non cogliere questa specificità (che poi è quella propria di ogni autentico movimento ecclesiale ed in ultima analisi della Chiesa stessa) per misurarla con lo stesso centimetro e lo stesso compasso che abitualmente si usano per i movimenti e le istituzioni politiche, vuol dire ritenere che tutta la corposa dimensione spirituale che struttura Cl, da cima a fondo, costituisca un dato secondario, non rilevante e sostanzialmente ininfluente. Ci si ostina così a diffondere un’immagine secolare e mondana dell’intero movimento, come se la regola di vita dei Memores Domini, dei quali Formigoni è parte, o la vita di migliaia di ciellini che fanno caritativa ogni settimana, costruiscono opere, cioè reti di servizi là dove c’è esigenza, vanno in pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto (all’edizione di quest’anno erano 90mila) e, assieme a tanti altri movimenti religiosi, stanno ricostruendo il tessuto sociale di intere generazioni alla deriva, non fossero che aspetti secondari e irrilevanti.
Per di più, manca ancora l’essenziale. Il dato più rilevante è che il movimento costituito da don Giussani, proprio in conseguenza della convinzione che lo anima, è un cantiere in attività costante, una vera e propria postazione di servizio della Chiesa dove ogni giorno arrivano persone profondamente e totalmente secolarizzate, che sanno magari poco o nulla del nuovo catechismo o delle analisi ratzingeriane, ma sono solo colpite da una vita, una sensibilità, un entusiasmo e una compassione oltre misura. Nulla di più, ma nemmeno nulla di meno. Comunione e liberazione non è l’armata dei santi di Cromwell ma vive nel lievito e nella risacca della società secolare, è una realtà che nasce dalla ricerca laica di un senso all’esistenza che si dimostri capace di reggere anche quando tutto sembra crollare, anche quando la miseria morale sembra prevalere e “la nottata”, proprio come il vertiginoso degrado politico e culturale di questi ultimi anni, tarda a “passare”.
L’intervento di Julián Carrón costituisce pertanto un documento rilevante per capire la portata reale dell’eredità ecclesiale di don Giussani. Tutto ciò che smuove ed anima Cl (Formigoni incluso) è dentro quelle parole. Quando Carrón ipotizza che il movimento di Cl abbia peccato di superficialità fornendo pretesti per alimentare il fraintendimento che si ostina a vederla unicamente come una lobby di potere, pone sul tavolo l’argomento più importante: quello della percezione ancora troppo debole di un’eredità ecclesiale, quindi morale e sociale, che resta sempre il reale termine di paragone con il quale confrontarsi. Se Cl non è l’esercito dei santi ma un movimento di laici colpiti dal fatto cristiano e in costante scoperta delle conseguenze personali e sociali che ne derivano, il problema non è l’errore, vero o presunto, che si può ingenerare nelle attività concrete (anche se spesso deflagrante nei suoi effetti) ma la testimonianza mancata o comunque insufficiente. E la testimonianza è tanto più debole quanto più è forte la tentazione di una “riuscita puramente umana”.
È evidente come la meta additata da Carrón non c’entra nulla con la campagna di indignazione morale (o moralistica) che tanto alimenta le colonne dei giornali, ma mira molto più in alto. Abbandonare la tentazione dell’egemonia (il termine è di Gramsci) a favore della testimonianza, non è un obiettivo minimo, ma la meta più alta del cristiano che si cela dietro ogni attività: quella di chi è cosciente che tutto quello che riesce a fare è semplicemente opera di un Altro.
Dinanzi a questa strada Carrón compie pertanto la scelta più importante che un credente possa fare: quella di un costante ritorno alla fonte di tutto, a prescindere. Anche qualora le accuse dovessero un giorno dimostrarsi infondate e dovesse emergere la trama delle complicità che le hanno alimentate, non c’è fin d’ora recupero migliore e più autentico di quello che, sempre e comunque, parte da un riconoscimento di costante inadeguatezza dinanzi a ciò che si è incontrato. Un’inadeguatezza le cui conseguenze non sono quelle che vengono stigmatizzate sulla stampa (non senza una punta di malcelato fariseismo) bensì quelle, molto più gravi, di una testimonianza poco visibile e quindi di un naufragio della ragione ultima di qualsiasi impegno cristiano.
Riconoscere i propri limiti, e quindi gli errori ai quali ci si espone, è tanto più possibile, autentico ed efficace, quanto più è forte il legame che vincola i seguaci di don Giussani al momento iniziale, quello dell’incontro con un principio rifondatore concretizzatosi in una persona in carne e ossa, diventato parola e gesto d’uomo. Non si tratta, come erroneamente molti commentatori hanno chiosato, di una questione di strategia, ma di una premessa realistica indispensabile. Tutta la dinamica di Cl è attraversata dal timore che la necessaria vita attiva che consegue dall’incontro si faccia divorare dalle logiche organizzative e di struttura, per finire con l’essere opaca e non lasciar più trasparire l’origine dalla quale ha avuto inizio. In tal senso persino gli attacchi, le provocazioni e le derisioni, sono un’occasione preziosa per tornare alle origini ed ai fondamenti primi, recuperando il senso di un intero percorso, traendo il meglio da ciò che appare banale e deprimente. La sortita di Carrón, in tal senso, non costituisce un’eccezione: nella storia della Chiesa è la regola, ed è anche la ragione dell’incredibile e continua giovinezza di quest’ultima.