Per dire una cosa di sinistra i democratici hanno atteso a lungo, sino alla legge di stabilità. L’attacco di Bersani soprattutto al capitolo che riguarda la scuola e l’aumento di ore di lezione frontale dei docenti a parità di salario trova per una volta sostanzialmente unite le varie anime del centrosinistra che si preparano fra un mese esatto a misurarsi con le primarie.
Persino Matteo Renzi per una volta si trova in sostanziale sintonia con il segretario nel criticare alla radice l’impostazione della legge di stabilità. Uno sport che vede Nichi Vendola e Antonio Di Pietro in prima fila.
Per il resto, la guerriglia continua, ed è destinata a continuare per altri trenta lunghissimi giorni, con effetti ad oggi imprevedibili. Il primo aspetto da tenere sotto osservazione è il consenso complessivo del Partito Democratico, che non si schioda da una percentuale che viaggia poco al di sopra del 25 per cento, anche se i sondaggi più ottimistici si spingono al 27-28. E’ il dato che il sindaco di Firenze ha impietosamente sbattuto ieri in faccia al suo segretario, dicendo che con lui il partito può aspirare a percentuali ben più alte, addirittura al 40 per cento, ha dichiarato.
Si tratta di un problema ben serio per largo del Nazareno, perché con una percentuale al di sotto del 30 per cento, anche aggiungendo i voti di Vendola non si può immaginare un risultato elettorale superiore al 35 per cento, insufficiente per governare con il premio di maggioranza del 12,5 per cento in discussione in Senato. In questo scenario la grande coalizione sarebbe inevitabile, a meno di non imbarcare l’Italia dei Valori, con il rischio però di finire con una riedizione dell’Unione di prodiana memoria, un fantasma che tormenta le notti di Bersani e dei suoi collaboratori. E in parecchi è nata la tentazione di far saltare il tavolo della riforma elettorale e tenersi il “porcellum”, anche se ci sarebbe l’incognita di una difficilissima maggioranza da comporre in Senato.
Per Bersani il dilemma è grande: tenere un profilo moderato per porsi in continuità con il governo Monti, e tentare un aggancio con i centristi di Casini dopo il voto, oppure piegare più decisamente a sinistra, con il rischio di finire con l’ennesima coalizione arcobaleno che non sta in piedi. Il rischio di vedersi sfuggire Palazzo Chigi è grande, e si fa ogni giorno più concreto, anche perché nelle ultime settimane l’attrazione verso la sinistra sta prevalendo e potrebbe trasformarsi in un’attrazione fatale.



Renzi spinge il segretario sempre più verso sinistra, anche se gli ultimi sondaggi lo vedono in affanno. Certo, fare rilevazioni relativi a elezioni primarie che non hanno una base elettorale consolidata è difficile, ma l’impressione è che il principale sfidante di Bersani raccolga più consensi fuori dal PD che al suo interno e che in questo momento la sua rincorsa stia vivendo un momento di fiacca. Ma l’annuncio della non ricandidatura di Veltroni e D’Alema costituisce un indubbio successo, al punto da consentirgli di dichiarare finita la fase della rottamazione. Per lui però il crinale è stretto, e la polemica per la cena con gli esponenti della finanza speculativa non gli ha certo portato un aumento di consensi, anche se Bersani su questo tema rischia che gli siano rinfacciate ben altre commistioni con la finanza, come Unipol, il Monte dei Paschi, o la merchant bank di Palazzo Chigi in epoca dalemiana.
La battaglia sarà ancora lunga, e due almeno sono i terreni che potrebbero rivelarsi particolarmente scivolosi per il segretario democratico. Il primo è quello delle regole delle primarie, su cui l’impressione trasmessa all’opinione pubblica è quella di un grande timore da parte dello stato maggiore. E la paura – si sa – gioca brutti scherzi. Soprattutto fa passare la convinzione che si stia facendo di tutto per frenare Renzi, dall’invenzione del doppio turno al farraginoso meccanismo di registrazione.
Il secondo tema che potrebbe rivelarsi scivoloso soprattutto per Bersani è quello del confronto diretto fra i candidati. In queste situazioni è risaputo che a rischiare di più sarebbe il front runner, chi è in vantaggio, ma sottrarsi al faccia a faccia non metterebbe Bersani in una buona luce, anche se il confronto difficilmente si potrebbe fare limitato solo a lui ed a Renzi, e finirebbe per coinvolgere anche gli altri candidati “minori”.

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