È veramente patetico vedere in una trasmissione di dibattito politico Renato Schifani e Pierferdinando Casini proporre all’attenzione degli italiani e dei futuri elettori il lancio di una costituente dei moderati che, assumendo come proprio programma l’agenda Monti, si candida a guidare il rinnovamento italiano rispetto agli schieramenti tradizionali. Non intendo commentare il contenuto programmatico di un futuro partito che rinvia all’agenda di un governo esistente, ma sottolineare l’evidente ignoranza di quanto sta accadendo nel Paese che sicuramente, al di là delle intenzioni di ciascuno, sancirà la fine della seconda Repubblica e la nascita di qualche cosa che appare assai simile ad un oggetto misterioso.
Purtroppo, a riprova della distanza tra il linguaggio dei politici di professione e la realtà del Paese basterebbe sottolineare che da mille fonti diverse, sondaggi e inchieste, risulta ormai acquisito ai dati di realtà che tra assenteisti e nuovi orientamenti nascenti nell’ambito di ciò che già esiste, quasi i due terzi degli elettori italiani non si ritrovano nelle sigle dei partiti che si preparano alla competizione elettorale. Non c’è un’analisi degna di questo nome dei movimenti dell’opinione pubblica, che non sia determinata dal dilagare degli scandali ad ogni livello della vita istituzionale. Le stesse iniziative elettorali prendono le mosse proprio dalla situazione di degrado delle attuali forze politiche.
Mi stupisce che neppure commentatori intelligenti, come Ilvo Diamanti, abbiano colto il filo unitario che unisce in un unico blocco coloro che non hanno intenzione di andare a votare con la massa dei seguaci di Grillo e con l’esplosione di Renzi all’interno dell’unico partito che ancora sembra mostrare le sembianze di un’aggregazione politica di tipo tradizionale. Come si fa a non vedere che una profonda ispirazione comune unifica il fronte di quanti comunque usano la rabbia e il rancore contro l’attuale classe dirigente come una leva profonda di svolta nella vita nazionale? Mi ha stupito ad esempio ascoltare autorevoli commentatori sostenere che mentre Renzi rappresenterebbe una soluzione innovativa e moderna alla crisi del sistema politico italiano, Grillo sarebbe invece un fenomeno estemporaneo di antipolitica gestito da un comico che vive dello scandalismo e dell’aggressione all’attuale classe dirigente. Sono convinto che queste tre future componenti del voto – la massiccia astensione, il sicuro successo del grillismo e l’affermazione di Renzi nell’arena del centrosinistra – hanno in comune una carica eversiva del sistema di cui non si riesce a predeterminare i percorsi futuri.
Grillo e Renzi possono superficialmente apparire persino come antagonisti mentre, a ben considerare, sono facce della stessa medaglia che ritiene ormai improponibile il perpetuarsi delle forme di partito che hanno caratterizzato la vita della seconda Repubblica, e che pensa in termini radicali sia le forme di partecipazione sociale alle scelte politiche sia le forme di governo adeguate a questa fase della storia del Paese. Il punto comune a Renzi come a Grillo è che l’attuale classe politica non ha più alcuna legittimazione e che deve necessariamente essere sostituita al più presto da una nuova generazione che non ha subito le compromissioni e le contaminazioni della precedente. Il dato generazionale è diventato così una sorta di certificato di indipendenza, onestà ed efficienza rispetto ad un ceto politico moribondo che si affanna a difendere il proprio spazio particolare senza più alcuna visione di insieme. Il vaff…è lo slogan unificante di un’intera generazione che scende in campo col fermo proposito di rispedire a casa l’intero establishment che ha fin qui gestito la transizione fra la prima e la seconda Repubblica.
Le vere novità della prossima campagna elettorale saranno dunque i risultati che Grillo e Renzi rispettivamente conseguiranno. Come ha detto Verderami, Renzi ha comunque vinto giacché dopo le primarie il Pd avrà cambiato natura e si sarà trasformato in un’aggregazione liberaldemocratica senza alcun rapporto con la sua tradizione sociale. Un Renzi eventualmente battuto nella competizione diretta con Bersani resterà infatti il punto di riferimento centrale di un’aggregazione − sotto l’eventuale sigla del Pd − che non ha esitato ad approvare le politiche di Marchionne e il sostegno ai grandi gruppi finanziari.
Per capire il significato di questa grossa novità − rappresentata oltre che dall’assenteismo, da Grillo e da Renzi − bisogna provare ad uscire dalla polemica spiccia sul populismo antipolitico e sulle ispirazioni fascistoidi per affrontare il vero tema che è sotteso dall’attuale scontro: il rapporto fra le generazioni.
Il tema del rapporto tra genitori e figli, e più in generale il rapporto tra le generazioni, alimenta un dibattito che sembra non trovare mai alcuna risposta adeguata. Gramsci era molto attento alle rivolte giovanili e giustamente, al di là del merito delle questioni sollevate dalle nuove generazioni, affermava che l’insorgenza del conflitto metteva in evidenza una inadeguatezza dei rapporti sociali esistenti che certamente non sapevano contenere e trasformare il confuso movimento degli studenti. Il fatto è che un conflitto generazionale senza contenuti di proposta politica in cui soltanto l’età diventa titolo per candidarsi è di per sé un segno culturalmente reazionario.
La pretesa di partire da zero e il culto del nuovismo autoreferenziale è sempre il segno del persistere di una fantasia onnipotente di carattere narcisistico-infantile. Già da molti decenni la rivolta dei figli contro i padri è diventata un connotato ricorrente della lotta politica e mai come questa volta l’idea di rottamazione ne rende esplicite le tendenze distruttive per l’intera collettività. Chiunque abbia un po’ di esperienza delle dinamiche psichiche sa che la volontà di uccidere i padri è una fase quasi insopprimibile dell’adolescenza e della crescita umana. Farne però un messaggio politico comporta effetti devastanti nei rapporti interpersonali e nei rapporti fra le generazioni.
Il problema che Renzi deve affrontare non è dunque se la sua campagna elettorale abbia una tonalità che la fa apparentare a certi aspetti della propaganda fascistoide − che inneggia ad un ordine che nasce dal nulla − senza alcuna legittimazione nella tradizione del gruppo di appartenenza. Ciò che deve indurre Renzi a riflettere, e così tutti coloro che lo sostengono, è se si può costruire una politica del futuro sul rancore verso i padri e sull’invidia verso il loro potere.
La rottamazione è un gesto senza futuro, un puro annichilimento di ciò che ci troviamo di fronte senza speranza di trasformazione. Nella misura in cui la rottamazione è cancellazione del passato, essa è anche negazione del futuro. Sotto questo profilo la candidatura di Renzi può raccogliere emozioni e consensi che sono presenti in larga parte della nostra società giovanile. Chi lo segue non si rende conto di partecipare a un rito funebre e cioè alla sepoltura di ogni memoria dello sforzo umano che nei millenni del nostro passato hanno strutturato il nostro senso di stare al mondo.
Io non intendo contrastare Renzi o Grillo perché attaccano così volgarmente personalità della storia di questo Paese. Ma proprio per questo Renzi e Grillo non si combattono demonizzandoli ma riducendoli a una dimensione del “negativo” che è sempre presente nella vicenda umana, e rivendicando contro il loro nichilismo pratico il diritto degli uomini di ricominciare a sognare perché sognare è ciò che più specificamente definire l’essere umano.
La democrazia è la pubblicazione dei sogni e non il triste rigurgito dei rancori nascosti. In nome dei sogni si può anche soffrire. I sogni sono il terreno della speranza perché essi non sono pure fantasticherie, ma tentativo incompiuto di ritrovare se stessi attraverso la narrazione della propria vita. La rottamazione invece distrugge il racconto e non permette di sognare.