Il passo indietro – forse definitivo – nella scena politica da parte di Silvio Berlusconi avviene all’indomani della cosiddetta Todi 2, il secondo appuntamento del forum delle associazioni di area cattolica. Pari pari accadde nel novembre scorso, quando le dimissioni del Cavaliere da Palazzo Chigi seguirono appena dopo il primo appuntamento di Todi. Fosse anche solo, come è probabile, una coincidenza temporale, i due accadimenti non possono essere letti in maniera disgiunta, se vogliamo avere un quadro tendenzialmente coerente di una situazione altamente confusa sul fronte dei cosiddetti moderati.
A Todi, domenica e lunedì, senza i riflettori puntati come nel primo incontro, sei associazioni di area cattolica del settore economico-produttivo (Acli, Compagnia delle Opere, Mcl, Cisl, Confcooperative e Confartigianato) hanno stilato un documento comune sulla crisi economica e su nuovi strumenti di impegno politico per farvi fronte. Nel corso di un dibattito non facile – ma apparso costruttivo e sincero – fra diverse sensibilità a confronto, ci si è interrogati sulla risposta da dare all’evidente crisi di rappresentanza che l’elettorato cattolico-moderato vive, al punto che proprio in quest’area così smarrita si annida – lo confermano i sondaggisti – la quota maggiore di cittadini poco propensi ad andare a votare, o tentati di andarci per confluire nel voto di protesta. Non c’era questa volta, a Todi, nessuna particolare benedizione delle gerarchie, anche – si vede – per lasciare maggiore libertà al dibattito, ma questo non ha diminuito il senso di responsabilità di ciascuno, anzi. Probabilmente non nascerà nessun soggetto politico, né direttamente né indirettamente, dai lavori di Todi, né questo era l’obiettivo, d’altronde.
Ma basti citare le due sintesi finali dei lavori affidate a Bernhard Scholz della Cdo e Andrea Olivero delle Acli, per dare il senso di un lavoro profuso gettando il cuore oltre l’ostacolo delle diverse sensibilità, vincendo i comodi schemi di un bipolarismo malato che ha messo una parte d’Italia contro un’altra senza risparmiare nemmeno i cattolici dalla contrapposizione. Le diversità non sono state cancellate, sia chiaro, ma nello spirito di Todi sono diventate un valore, e il frutto è stato un documento pienamente condiviso, che finalmente non prendeva la dottrina sociale a pezzetti, secondo convenienza di parte, ma poneva per intero il tema di una nuova antropologia da promuovere, dal diritto alla vita – dal concepimento fino alla morte naturale – alla tutela della famiglia, all’accoglienza dei poveri e degli immigrati.
È toccato poi al segretario della Cisl Raffaele Bonanni tirare le conclusioni, a nome di tutti. E, sullo scottante scenario politico, la proposta è stata quella di un nuovo contenitore, una costituente dei moderati, cui i cattolici, almeno quelli di Todi, vogliono concorrere a pieno titolo. Non come protagonisti esclusivi di un partito cattolico, ma neanche come mero ornamento valoriale dei partiti di altri, modalità con cui sono stati utilizzati troppo spesso in questi anni. Bonanni ha esemplificato ricorrendo a un’immagine evangelica: «Vino nuovo in otri nuovi».
Ma qui di otri nuovi non se ne vedono all’orizzonte. Il giorno prima il segretario del Pdl Angelino Alfano, intervenendo a Norcia ai lavori di Magna Carta – la fondazione di Quagliariello, Roccella, Sacconi e Mantovano – aveva annunciato una nuova squadra di dirigenti del Pdl in arrivo. Un discorso coraggioso, ma anche altamente lacunoso sul piano dell’autocritica: «Se mi chiedete se abbiamo fatto tutto quel che ci ripromettevamo vi rispondo di no; ma se mi chiedete se ce l’abbiamo messa tutta rispondo di sì», è stato il ragionamento un po’ auto-assolutorio di Alfano a Norcia. Peccato, gli si potrebbe replicare, che il “lodo” che porta il suo cognome evochi un impegno profuso – è vero – senza risparmio di energie, non certo però per portare a casa, che so, un aiuto per le famiglie numerose, o magari un sostegno per i centri di aiuto alla vita, me per questioni di tutt’altro tipo. Sono certo che questa autocritica non sia assente nell’immaginario del segretario del Pdl, che non a caso ha deciso una robusta sterzata nei toni e nell’organigramma, ma – da persona mite e leale quale è – fa prevalere il sentimento della gratitudine verso chi ha creduto da sempre in lui, e rinnegare Berlusconi oggi sarebbe davvero di cattivo gusto, da parte sua.
In questo quadro apparentemente autogiustificatorio, però, il rischio è che il passo indietro di Berlusconi – gesto altamente responsabile, il suo, che fa il paio con quello che consentì il varo del governo Monti – invece di aprire una fase nuova rischi di sancire solo l’epilogo della vecchia, senza che si intraveda una via d’uscita, proprio per via di quella autocritica che stenta a venir fuori apertamente ai massimi livelli del Pdl. Ma come si può pensare che tante energie nuove provenienti dalle file cattoliche dopo Todi, o quelle reclutate da Oscar Giannino con “Fermiamo il declino”, o quelle che fanno capo a Montezemolo, o altre personalità del governo, penso a Corrado Passera, o personalità non ancora in campo (come Emma Marcegaglia) vadano a puntellare un Pdl conciato così male e con tanti insuperati problemi?
Non si può non ricordare che stiamo parlando di un partito che per quasi 20 anni si è riunito a casa del “capo” come fosse una cosa normale per un partito democratico, e non invece un’anomalia tutta italiana guardata con ilarità e meraviglia all’estero. Un partito che non offre, insomma, le credenziali migliori per promuovere al suo interno un processo che – se l’obiettivo non è quello di perdere le elezioni conservando per sé la guida dell’opposizione – si apra ai tanti cattolici, laici e moderati in cerca di un approdo comune.
Certo, neanche l’Udc ha questa autorevolezza, non per dimensioni del consenso, non per livello di democrazia interna, ma certo ha le caratteristiche per poter essere – con altri, anche con l’ex Pdl – azionista significativo di un processo di rassemblement che invece resta ancora lontano. Servirebbe un incontro fra Alfano e Casini e un generoso passo indietro di entrambi per favorire un processo più ampio. Queste primarie del Pdl, invece, salutate da più parti come la panacea, si riveleranno ben presto una sciagura per tutti. Non si capisce nemmeno chi sarà legittimato a votare, e se la base è il tesseramento del Pdl, esso – ricordo – ha destato non poche perplessità, tanto che in alcune aree, guarda caso ad alta incidenza criminale, Berlusconi ha notato, preoccupato, esserci più tessere che voti.
Ora però è lui stesso ad aver lanciato queste primarie per metà dicembre, ma non si vede in giro tutto questo entusiasmo per concorrere a decidere il successore del Cavaliere alla guida di un partito senza più appeal popolare, per cui il rischio è solo di dar vita a una colossale resa dei conti interna, che allontanerà le persone meglio motivate ad entrare nella contesa. E se non ci sarà uno scatto in avanti, il risultato, deleterio, sarà la permanenza in campo di almeno due partiti divisi nell’area moderata, insieme a una nuova lista “per l’Italia” che potrebbe nascere, federata con l’Udc. O forse anche unita, dipenderà dalla legge elettorale.
E pensare che il nuovo programma del Ppe potrebbe costituire un’ottima base comune per tutta quest’area dispersa e divisa, ora che nel programma – dopo il congresso di Bucarest – sono state inserite a pieno titolo le radici cristiane e i valori simbolo dell’impegno dei cattolici, dalla vita alla famiglia. Un risultato che – onore al merito – va ascritto anche all’impegno silenzioso di esponenti italiani come Rocco Buttiglione e Mario Mauro che a pieno titolo potrebbero far parte di un nuovo progetto di Ppe italiano, che – nel solco del lavoro di Mario Monti – potrebbe essere un soggetto cardine della prossima legislatura, per il bene dell’Italia. A guardare da fuori le cose sembrerebbe un esito auspicabile e scontato, ma niente può esserlo davvero se le scelte passano attraverso un Parlamento reclutato dalle oligarchie di partito che non hanno certo voglia di progettare la loro uscita di scena per favorire processi nuovi.
In questo quadro gli uomini di buona volontà hanno solo il diritto/dovere di sperare contro ogni speranza. Tentando in tutti i modi di condizionare quelle oligarchie di partito che, invece di favorire questo semplice e lineare processo di riaggregazione, continuano a guardare i loro piccoli interessi, impedendo la nascita di uno strumento unitario nuovo – fresco e pulito – di impegno, che porterebbe tanti a mettersi in gioco con rinnovato entusiasmo. E dire che, con il delirio che si è impadronito della sinistra in questa vicenda delle primarie, di un Ppe italiano ancorato ai valori che hanno fatto grande l’Europa e l’Italia, questo nostro scalcagnato Paese avrebbe veramente bisogno.
Ci prova Mario Mauro a dare corpo a questa prospettiva. Il capogruppo del Pdl, da Strasburgo, rilancia il suo appello in nome del nuovo Ppe italiano “a Casini, Fini e a tutte le alte componenti del centrodestra, compreso Giannino e Italia Futura”. Con loro, nota Mauro, “non ci sono differenze di contenuti” e si può costruire insieme una “grande nave”. E dar vita a delle primarie “comuni”. Non solo, quindi, del Pdl.