La domanda che viene spontanea è questa: chi può garantire un minimo di equilibrio politico e istituzionale a questo Paese nei prossimi anni ? E la risposta diventa veramente difficile, sempre più difficile. Solo 72 ore fa sembrava che, con l’annunciata uscita di scena di Silvio Berlusconi, si profilasse all’orizzonte una convergenza di tipo centrista, con il supporto di quello che rimane della destra e della sinistra della cosiddetta Seconda repubblica, per garantire una continuità dignitosa della linea politica del “governo dei tecnici” di Mario Monti, per rispettare quella che viene definita “l’agenda Monti”.



Lo stesso Cavaliere, facendo un “passo indietro”, aveva riconosciuto, con la sua nota di congedo, un apprezzamento all’attuale governo, riservandosi qualche critica sul piano dell’azione fiscale e qualche errore soprattutto sulla recente legge di stabilità. La nota di Berlusconi segnava la vittoria dell’ala montiana all’interno del Pdl e offriva uno spunto di costruzione per una piattaforma comune con l’Udc di Pier Ferdinando Casini e, aspettando il risultato delle “primarie” nel Pd, anche un asse possibile con il centrosinistra, con un Nichi Vendola “sotto controllo”, magari ridimensionato da un probabile successo di consensi di Matteo Renzi.



In qualche modo una riedizione, secondo alcuni, del vecchio “pentapartito” che sta nella storia della vecchia Prima repubblica, targato questa volta dai “tecnici” bocconiani, apprezzati in Europa e sul piano internazionale. Ma in 72 ore tutto  è stato rovesciato e tutto è stato rimesso in discussione. Il Cavaliere, che sembrava un “re che aveva abdicato” tra i consensi dei suoi e degli altri, di “amici e nemici”, è stato colpito da una sentenza del Tribunale di Milano che lo condanna a quattro anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici.

La reazione di Berlusconi è stata immediata. Con una conferenza stampa nel pomeriggio ha subito detto che non si candiderà a premier, ma che vuole ritornare in Parlamento. Usando toni spesso duri e aggressivi, ha rifatto la storia del suo operato in questo quindicennio, ha attaccato la magistratura, alcuni centri di potere e ha avvertito pure il governo dei tecnici: “Tra qualche giorno decideremo se si deve staccare la spina a questo governo”. Che cosa è successo in estrema sintesi? Probabilmente Berlusconi, fidandosi di alcuni suoi consiglieri, pensava che la sua “uscita di scena” gli avrebbe permesso di ottenere una sorta di salvacondotto, gli avrebbe risparmiato non solo il pubblico ludibrio, ma gli avrebbe anche permesso un ritorno più tranquillo ai suoi affari e una veste di consigliere politico disinteressato.



Giusta o sbagliata che sia, questa nuova sentenza del Tribunale di Milano, riconsegna all’Italia  un Cavaliere che, al posto dei toni morbidi, impugna di nuovo “la spada della sfida” ed è pronto a radicalizzare ancora di più tutto il quadro politico nazionale, che è già fin troppo radicalizzato. Che cosa emerge infatti dalla conferenza stampa del Cavaliere? Che bisogna riformare la Costituzione, la magistratura, la Corte costituzionale e via seguendo. Al fondo di tutto questo che cosa ci si può aspettare? 

Che Berlusconi ritorni in Parlamento, magari anche con una pattuglia ridotta di deputati, e che si metta a contestare duramente qualsiasi accordo politico, non garantendo più a chi vuole il grande accordo centrista filo-montiano, la sponda necessaria di destra per formare una grande coalizione di centro. Insomma, pronto a fare saltare il banco. E di fronte alla sentenza del Tribunale di Milano, adesso è anche difficile convincere il Cavaliere a deporre le armi ed è altrettanto difficile che nel Pdl ci sia qualcuno che possa condizionarne le scelte. Si può affermare che questa impennata di Berlusconi abbia il sapore di una specie di ultima barricata, ma purtroppo questi sono i conti che occorre fare con la realtà, così come è o come si evolve, soprattutto quando in un impianto istituzionale politico confuso, ci sono pure, se non le schegge, le varianti che ad alcuni appaiono impazzite, ad altri imprevedibili.

Alla fine di questa settimana il quadro politico appare più confuso  che mai e i tessitori della cosiddetta “agenda Monti” hanno di fronte una corsa a ostacoli. Il Paese è in recessione, il governo è stato bocciato dai partiti sulla legge di stabilità, Berlusconi è andato e tornato, nel giro di 72 ore, per un ennesimo intervento della magistratura, domenica si vota in Sicilia e si potrà vedere quanto conta veramente la cosiddetta anti politica di Beppe Grillo o la corsa all’astensione.

Intanto emerge sempre di più, in un quadro politico scollato, frammentato e radicalizzato, quello che ormai può essere definito “l’estremista di centro”, che non è interessato alla ricostituzione di un centro politico in sostegno di Mario Monti o di un governo di tecnici.  E’ invece il cittadino italiano frastornato dagli scandali, esasperato dalla pressione fiscale, per nulla convinto dalla politica di austerità, che ha ormai venature anti-europeistiche marcate e che è sempre più attirato da quella che viene definita anti politica. Secondo la vecchia scuola politica, “l’estremista di centro” è l’estremista più pericoloso, quello che spesso destabilizza un Paese, che spiazza ogni strategia moderata e, se viene spinto da un qualsiasi leader emergente, cambia lo stesso corso della storia.