Pace fatta, sembra. L’assemblea del Pd si è conclusa all’insegna della riconciliazione con Renzi. Almeno in apparenza. Il segretario del Pd ha chiesto e ottenuto il ritiro degli emendamenti che infastidivano il sindaco di Firenze. Spiegando che l’unica regola che è stata modificata, è proprio quella che consentirà a Renzi di candidarsi. Lo statuto del Pd, infatti, prevede che il candidato premier sia il segretario del partito. Bersani, quindi. Se tale cavillo non fosse stato derogato, Renzi avrebbe dovuto dimettersi dal Pd per partecipare alla competizione. In realtà, restano in ballo due questioni fondamentali. Pare che, anzitutto, sarà introdotto il doppio turno. E che ci si potrà iscrivere al registro dei votanti solamente entro il primo. Due regole che hanno tutto l’aspetto di un’operazione ai danni di Renzi. Che, dal canto suo, ha fatto buon viso a cattivo gioco esprimendo, semplicemente, piena fiducia nei confronti del segretario Bersani. Abbiamo fatto il punto della situazione con il giornalista e scrittore Fabrizio Rondolino.
Come valuta l’esito dei lavori dell’assemblea del Pd?
Anzitutto, il fatto che si è stabilito che, per la prima volta, ci saranno primarie vere, mi pare una buona notizia per la politica italiana. Detto questo credo che l’inserimento del doppio turno (anche se, così come il registro dei votanti, sono raccomandazioni che andranno in seguito definite e ratificate da un comitato delle regole) sia un errore. Non sortisce alcune effetto se non quello di aumentare la frammentazione. Sappiamo tutti, infatti, che i candidati reali sono solo due, Renzi e Bersani.
Che conseguenze determina?
I candidati che sanno bene di non avere chance di vittoria riescono, in ogni caso, a ottenere visibilità. E, dopo il primo giro, sono nelle condizioni di contrattare con il candidato che decideranno di appoggiare.
Non crede che, invece, il doppio turno sia stato introdotto per danneggiare Renzi?
Può darsi. Ma ne possono fare anche di cinque turni. Vincerà in ogni caso lui.
Davvero?
Certo. Non è detto, infatti, che i voti di Vendola o Di Pietro si riversino, al secondo giro, su Bersani; potrebbero, semplicemente, non andare da nessuna parte, mentre potrebbe mobilitarsi in favore di Renzi molta gente che al primo giro era rimasta a casa. Tanto più che chi, in genere, vota alle primarie lo fa con motivazioni forti. Credo, del resto, che Renzi rappresenti, oltre a Monti e Grillo, l’unica novità della politica. Ha, inoltre, una posizione vagamente centrista, la stessa assunta da Clinton e Blair quando vinsero le elezioni, presentando, cioè una sinistra dal volto umano.
Quanto incide, invece, la sua età?
Parecchio. A parte il fatto che rappresenta una ventata d’aria fresca, la gente si sente più rappresentata da lui che dalla dirigenza anziana.
Sia che vinca, come dice lei, che perda, ma di poco, cosa ne sarà della nomenclatura?
Verosimilmente, la generazione che ha preso in mano le redini della seconda Repubblica, i vari D’Alema, Veltroni, Bindi e via dicendo, potrebbero andare a casa. D’altronde, nel resto del mondo, quando un politico porta a termine il massimo numero di mandati che può assumere, o perde le elezioni, si ritira. In Italia, invece, c’è una generazione che ha concluso il proprio ciclo politico ma non intende fare un passo indietro. Non dimentichiamo, infine, che archiviare la classe dirigente attuale è lo scopo dello stesso Bersani.
Eppure ha solo due anni in meno di D’Alema e quattro in più di Veltroni…
Sì, ma il primo è stato presidente del Consilgio, il secondo è stato sconfitto alle scorse elezioni da Berlusconi. Il ciclo di Bersani, invece, non si è ancora concluso. Si è intestardito sulle primarie, nonostante avrebbe potuto appellarsi allo statuto, impedendo legittimamente a Renzi di candidarsi, perché, una volta legittimato dal popolo, il sinedrio dei sessantenni che lo aveva incoronato alcuni anni fa, non conterà più nulla.
(Paolo Nessi)