“Cerchiamo di difenderci dalla vecchiaia”, dice con simpatia e affetto Emanuele Macaluso, uno dei superstiti di quella che è stata una grande classe politica dirigente, sia nel Pci, il suo vecchio partito, ma anche in un’Italia ben diversa, dove le identità politico-culturali erano nette e precise, chiaramente individuabili. Avevano delle grandi radici storiche. In un’Italia dove alla fine si riusciva, nonostante tutte le debolezze e le contraddizioni del Paese, a governare, a fare opposizione in modo non tortuoso e anche a risolvere tanti problemi. In conclusione, dopo che ci hai parlato a lungo, il “vecchio” Emanuele Macaluso ti sembra molto più giovane dei protagonisti di questa stagione politica: per lucidità, per realismo, per il tentativo continuo di individuare – quasi con disperazione – delle prospettive, soprattutto per la capacità di saper analizzare la situazione politica. Macaluso è consapevole, in una situazione come quella attuale, che è il pessimismo che prevale.
Il tema è l’attuale condizione della sinistra. Che ne pensa, Macaluso? Sono molto pessimista, non lo nascondo affatto. In realtà le cerco continuamente, ma non riesco a vedere delle prospettive. E’ appena uscito un mio libro-intervista con Peppino Caldarola e l’abbiamo battezzato “Politicamente scorretto”. E’ la storia della svolta della “Bolognina”, fatta da Achille Occhetto, iniziata il 12 novembre del 1989, fino a oggi. Che bilancio si può fare di questa storia? Però vorrei subito precisare una cosa: non sono pessimista non solo per le condizioni in cui si trova la sinistra, oggi, ma per la crisi politica in cui si trova tutto il Paese.
La sinistra, o comunque il centrosinistra, potrebbe vincere le prossime elezioni, andare al governo. E poi? Che cosa succede dopo? Non basta andare al governo, formare una sorta di maggioranza, diciamo pure un “pezzo” di maggioranza per governare realmente il Paese. Non si può governare un Paese senza il consenso reale degli elettori, senza il reale consenso popolare. E a questo punto basta fare i conti. Questa storia del premio di maggioranza, con il 10percento serve alla sinistra oppure al centrosinistra? E in tutti i casi, analizzata la situazione e l’equilibrio di queste forze politiche, come si può governare dopo il voto?
Enrico Berlinguer, quando varò il cosiddetto compromesso storico, diceva: “Non si può governare un Paese con il solo 51 percento”. E aveva ragione, aveva senso di responsabilità. Qui si pensa di governare andando e restando al governo, magari anche senza una maggioranza del 51 percento, come diceva Berlinguer. Come è possibile non essere pessimisti di fronte a una simile situazione? Io credo che esista ormai un problema di fondo e riguarda la natura di un partito.
In che senso, Macaluso? Un partito se non ha una base politico-culturale non riesce a elaborare, a creare una buona politica, non riesce in definitiva a fare politica. Questa è la situazione in cui si trova l’Italia di oggi, la stagione politica italiana che stiamo vivendo. Questa è anche la condizione in cui si trova la sinistra italiana in questo momento. E’ inutile nasconderlo.
Li mette tutti sullo stesso piano i protagonisti delle primarie del centrosinistra? Io dico sempre quello che penso. Matteo Renzi è a mio parere un avventuriero, è quasi un “residuato” del trasformismo della Dc, anche se nella Dc non erano affatto tutti così. E un perfetto trasformista. Gli altri hanno magari un po’ più di senso di responsabilità. Ma ripeto, il problema è di fondo: quale tipo di identità politico-culturale ha questo partito? Che cosa è alla fine il Pd?
Provi lei a formulare una risposta, se non riesce a trovare nel Pd una identità politica-culturale che dovrebbe essere più facile che in altre parti del panorama politico italiano.
Il problema che Ds e Margherita sono rimasti insieme si è risolto non nella costituzione, nella formazione di un partito, ma nella costituzione e nella formazione di una sorta di aggregato politico-elettorale. Questo alla fine non è un partito ed è per questa ragione che alla fine ci si può illudere di andare magari al governo e governare senza il reale consenso, magari anche su posizioni di minoranza, formando pezzi di maggioranza politica con alcune alleanze.
Che non sembrano neppure semplici, perché ad esempio in queste ore Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, il leader dell’Udc, hanno polemizzato anche duramente sulla legge elettorale, sul “Monti bis”.
Sono polemiche che non meritano neppure un commento. Qui si tratta di ritrovare, se è ancora possibile un’identità politico-culturale, si tratta di costruire un partito. E il Pd attualmente non è neppure un partito, in un panorama politico già confuso e frammentato, dove non ci sono partiti e non ci sono neppure maggioranze possibili.
Ma è così problematico, così scomodo risalire a un’identità socialista, con la sua tradizione italiana, con la sua grande storia europea?
E lo viene a chiedere proprio a me? Quando ci fu la svolta della “Bolognina”, io insieme a Giorgio Napolitano, a Gerardo Chiaromonte a Luciano Lama e ad altri ancora sottoscrivemmo un documento in cui ci impegnavamo ad aderire alla svolta per approdare nella grande tradizione del socialismo italiano ed europeo. Il risultato, purtroppo, è quello che abbiamo oggi sotto gli occhi.
(Gianluigi Da Rold)