C’è un solo punto fermo nel Pdl oggi. Che non c’è nessuno spazio per ritrovare un dialogo con Gianfranco Fini. La frase di Angelino Alfano ospite di Lucia Annunziata suona come un epitaffio: “La sua storia nel centrodestra è finita”. Del resto, era il segreto di Pulcinella a Montecitorio che la sua testa fosse il prezzo chiesto a Casini per un’ipotetica trattativa in risposta alla richiesta che Berlusconi sparisse dalla scena politica. E gli ammiccamenti del presidente della Camera nei confronti del segretario del Pdl non hanno smosso la situazione di un millimetro.
Al di là di questa vendicativa certezza, a via dell’Umiltà si vaga nella nebbia più fitta. E in questa indeterminatezza si fa strada il terrore di finire isolati e condannati all’irrilevanza. Due sono gli elementi che depongono a favore di questa lettura, il raffreddarsi dei rapporti tanto con l’Udc, quanto con la Lega, i due forni – pareva – della politica berlusconian-alfaniana.
Con Casini la speranza di riallacciare un dialogo costruttivo si fanno di giorno in giorno più flebili. E i segnali di fumo lanciati dal leader dello scudocrociato a Bersani sulla legge elettorale (sì al premio di governabilità del 10 per cento alla prima lista, come proposto dal Pd) arrivano a confermare l’impressione che un’intesa di massima ci sia già fra i due politici emiliani, per una collaborazione di governo, prima o dopo il voto, con relativa spartizione delle poltrone disponibili, Quirinale compreso. Non esiste uno schema univoco, perché la variabile è la collocazione di Mario Monti, ma un paio di ipotesi circolano da settimane. In tutte Casini avrebbe un posto di rilievo, o presidente di uno dei due rami del parlamento, oppure addirittura capo dello Stato.
Ospite di “In mezz’ora” Alfano reagisce con stizza alle domande sul centro. Prima boccia il Monti bis, cavallo di battaglia di Casini, proprio nel giorno della disponibilità del premier a continuare la sua azione di governo, nel caso in cui manchi una maggioranza politica. Poi attacca l’Udc con parole studiate: “Ci sono solo due modi per far vincere la sinistra – scandisce – o votarla, oppure spaccare il mondo ad essa alternativo”. Il tentativo di addossare la colpa della vittoria della sinistra, però, è una pistola scarica agli occhi dell’Udc, che sembra pronto a rompere il fronte comune tenuto sin qui al Senato sulla legge elettorale con Pdl e Lega per arrivare ad una intesa con i democratici, intesa che il Pdl cercherà di ostacolare il più possibile.
Anche il forno della Lega potrebbe però chiudersi di fronte ad Alfano. Questo almeno lascia capire l’annuncio ufficiale venuto da Bologna della candidatura di Roberto Maroni alla presidenza della Regione Lombardia contro Gabriele Albertini, sicuro candidato Pdl, e Umberto Ambrosoli, che ha sciolto la sua riserva e correrà con la sinistra, ma avrà anche l’appoggio dell’Udc. Una grossa delusione per Albertini questa, ma anche un ulteriore segnale che Casini guarda solo ed esclusivamente a sinistra, anche se non accetta un ruolo subalterno al Pd.
Orizzonte nero per il Pdl, quindi, e la necessità di rovesciare il tavolo con qualche mossa ad effetto. Ecco allora l’annuncio del cambio del nome e del simbolo, e la conferma delle primarie.
Solo sei mesi fa questi tre elementi avrebbero costituito un’autentica rivoluzione per il partito berlusconiano. Oggi, invece, potrebbero non bastare ed in bocca ad Alfano hanno il sapore delle mosse della disperazione. Troppo “vecchio” e “sporco” appare agli elettori l’ex partitone azzurro (opinione di Berlusconi esposta nello schema sull’ormai famoso tovagliolo di Montecatini), perché possa rinnovarsi passando una semplice mano di bianco sulla sua facciata. Servirebbe qualcosa di molto più profondo, un cambio soprattutto di classe dirigente. Se ne dimostrano consapevoli quanti, come Gianni Alemanno, hanno annunciato che alle primarie non correranno in prima persona, ma si schiereranno a fianco del segretario.
Ma una scossa potrebbe venire solo da un Renzi di destra, un uomo nuovo che scuota forte l’albero dei moderati. Non possono certo esserlo né Daniela Santanchè, né Giancarlo Galan, né Giulio Tremonti. Neppure Guido Crosetto ha il physique du role. Se una sorpresa ci sarà questa potrà venire o dal formattatore Alessandro Cattaneo, sindaco di Pavia, oppure – e va tenuto d’occhio – dal banchiere emiliano Giancarlo Samorì, new entry nella corsa pidiellina. Potrebbero non vincere, ma ridare un bricolo di credibilità al progetto Pdl, o come si chiamerà. Tutto questo sempre che Berlusconi lo permetta e non s’inventi altri predellini oltranzisti, stile villa Gernetto, che farebbero scappare l’ala più moderata del partito verso altri lidi.