Proprio mentre il Cavaliere sta sfasciando il Pdl puntando su “un dinosauro”, al leader del Pd cominciano a saltare i nervi con un attacco personale, decisamente “sopra le righe”, a Casini, che, anche con il Porcellum, è un suo primario interlocutore. Perché? In effetti, tra primarie e nuova legge elettorale, Pierluigi Bersani non sembra rafforzarsi. Egli ostenta estrema sicurezza, ma il comportamento del leader del Pd in questo 2012 ricorda per vari aspetti quello di Bettino Craxi nel 1991 e cioè un prefigurare i futuri inquilini del Quirinale e di Palazzo Chigi trattando il presidente della Repubblica ed il capo del governo in carica come persone ormai inutili.
Sentendosi sicuro – come appunto Craxi nel ’91 – di guidare tra poco il governo, il leader del Pd ha lo stesso atteggiamento verso Monti di quello che aveva all’epoca il leader del Psi verso Andreotti: una sopportazione accompagnata dalla declamazione di quante belle cose farà appena lo sostituirà. Secondo Bersani con lui avremo invece più lavoro e più soldi, che al momento mancano perché vi sono errori ereditati da Tremonti e limiti di Monti il quale non capisce o comunque non fa ciò che per Bersani è molto chiaro per determinare un’immediata inversione di tendenza e tornare a crescere.
Ma il dato principale è il fastidio che anche in questi giorni il leader del Pd dimostra per il Quirinale colpevole, ai suoi occhi, di ritardare ed ostacolare la propria ascesa sbarrando ripetutamente la strada alle elezioni anticipate ed insistendo per una nuova legge elettorale.
In verità il nervosismo di Bersani ed i sintomi di un suo indebolimento politico sembrano essere conseguenza di un Pdl che in questi giorni sembra sfuggito di mano al fondatore, ovvero del venir meno della “strana convergenza” tra lui e Berlusconi. Nella scorsa estate infatti, con la ridiscesa in campo dell’ex premier, il leader del Pd, oltre ad avere facilmente in mano il rapporto con Casini senza rompere con Vendola, poteva vedere possibile l’accordo tra Pd e Pdl per levare di mezzo Monti e andare ad elezioni anticipate in ottobre-novembre con il Porcellum (ed evitando anche le primarie). Ma dal Quirinale si sono moltiplicati gli interventi per incoraggiare Monti e modificare la legge.
Il nervosismo di Bersani è anche espressione della mancanza di sintonia con il Presidente eletto dalla sinistra. Come si è arrivati a questo?
All’inizio, l’ascesa al Quirinale di Napolitano sembrava se non consacrare certamente incoraggiare l’evoluzione della guida della sinistra italiana – come recita il titolo della sua stessa “autobiografia politica” – “dal Pci al socialismo europeo”. Con la vittoria di Berlusconi si è poi registrato un certo riflusso del neonato Pd che abbandona la “vocazione maggioritaria” di Veltroni e che con Bersani riedita la politica dell’Unione prodiana, e cioè il cartello elettorale antiberlusconiano in cui convivono e si sommano i vari “richiami della foresta” di un populismo ex comunista, ex “conciliarista” ed ex sessantottino.
Da parte sua Napolitano, con il crescere della crisi, ha avuto come principale preoccupazione la tenuta economica e la coesione sociale assumendo una posizione di arbitro con scelte che hanno provocato una non celata irritazione da parte di Bersani. Fu infatti grazie alla preoccupazione del Quirinale per la messa in sicurezza della legge finanziaria che Berlusconi evitò il voto della mozione di sfiducia presentata da Fini nell’ottobre del 2010 ed ebbe il tempo di racimolare una nuova maggioranza per riavere la fiducia in dicembre. Successivamente, dopo che il centro-destra aveva gettato la spugna, Giorgio Napolitano preoccupato di non lasciare il paese allo sbando nel pieno della speculazione che bersagliava l’Italia, non permise né il ribaltone né le elezioni anticipate. È così cresciuto il raffreddamento tra Bersani e Quirinale. Il segretario del Pd fu irremovibile nel respingere la richiesta di affiancare Monti con ministri politici prima e nell’affossare poi anche l’ipotesi di ministri non parlamentari che potessero collaborare con Monti portando la voce dei due principali partiti nel seno stesso del consiglio dei ministri. Bersani scelse la via del massimo disimpegno puntando sulla vita più breve possibile del nuovo esecutivo. Fu la “strana maggioranza” ovvero la formula morotea delle “convergenze parallele” del 1960.
Bersani ha poi continuato a preoccupare per la sua sostanziale sottovalutazione delle scelte che dovrà affrontare il governo italiano nei prossimi anni credendo di poter tenere le redini del Paese facendosi trainare da una muta di cani sensibili a disordinati “richiami della foresta” e con il diritto di veto della Fiom-Cgil. A questo punto le primarie espongono Bersani al rischio di essere platealmente delegittimato se, incalzato da Matteo Renzi, non raggiunge il quorum e viene costretto al ballottaggio (prevedendo il quale il leader del Pd ha fatto modificare il regolamento).
Come può pensare Bersani di governare in una situazione così complessa e tesa sul piano nazionale ed internazionale con l’appoggio di solo un terzo del paese ed in più spaccato al suo interno tra chi condivide e chi osteggia una politica economica in continuità con Monti? È un problema che, a questo punto, Napolitano lascia al senso di responsabilità dei leader politici e degli elettori. Una recente nota del Quirinale ha infatti bruscamente tagliato la strada all’ipotesi di accorciare di due mesi la legislatura per avere una gestione ancora di Napolitano della nascita del nuovo governo. Nel rifiuto di gestire una crisi di governo a due mesi dalla fine del settennato esiste un illustre precedente: Francesco Cossiga nel 1992 anziché convocare Bettino Craxi per conferirgli l’incarico, convocò i giornalisti per annunciare le proprie anticipate dimissioni. Si concludeva così un anno in cui Craxi aveva sottovalutato gli inquilini in carica a Palazzo Chigi e al Quirinale ed era stata modificata in modo per lui inaspettato e sgradito la legge elettorale.