Le elezioni regionali in Sicilia sono state un po’ tutto e un po’ nulla, un mare magnum fra test per le prossime politiche, occasioni di focus su una delle grandi “fallite” d’Italia e – non ultimo – il banco di prova di Beppe Grillo. Nei risultati si nasconde il dato della bassa percentuale di votanti, adombrata dall’avanzata dei “5 stelle”: mentre l’armata dei grillini guadagna terreno, fino a divenire il primo partito, si è offerta poca visibilità al dato elettorale fondamentale, che il New York Times (nella sua edizione globale, l’International Herald Tribune) ha evidenziato nel titolo della cronaca sulla tornata elettorale: «La bassa affluenza degli elettori in Sicilia suggerisce la collera verso i politici».



Se l’errore più grossolano sembra ignorare il partito della pantofola (che santifica la domenica e rimane a casa), sarebbe molto più grave non fare uno più uno: la crescita a dismisura dell’astensionismo e il presunto exploit del carro di Grillo – che ora mandano anche email alle redazioni dei media con manuali di comportamento sulle nomenclature del movimento (“non chiamateci grillini”, ecc.) – sono da osservare uniti e non separati, come invece la stampa ha impaginato nei giorni scorsi. Una visione in filigrana dimostra che, se il 53,6% dei siciliani non è andato a votare, chi pensava che la “corazzata Potemkin” di Grillo potesse convincerli ad alzarsi e camminare è stato smentito: un buco nero ha risucchiato ancora più elettori e l’elettorato latitante si è dimostrato tanto più intelligente del condottiero che sbraita dal pulpito, da preferire una cassata “nimby” a una fetta di castagnaccio genovese, che il comico voleva infliggere a suon di spergiuri sullo stato del paese.



Chi voleva votare per i grillini non ha tentennato, ha imboccato in linea retta la cabina elettorale e, se non sta bene offendere chi sceglie un’altra parte politica, per chi vota Grillo non si sprechi l’inchiostro: che ci pensino i politici, per una volta, a dimostrare agli elettori a 5 stelle che possono ancora rispolverare il cervello (Flores d’Arcais incluso). La ragione che ha spinto molti siciliani a restarsene a casa è invece la delusione nei confronti della politica: se il populismo avesse vinto, tanti elettori in crisi d’astinenza sarebbero tornati nelle cabine, ma così non è stato, perché la percentuale di affluenza si è dimostrata la più grottesca degli ultimi anni. Per questo i prossimi mesi saranno più importanti che mai, per dare vita a uno scontro d’idee serio, che porti a fronteggiarsi candidati con un progetto chiaro per la società e per lo Stato. Allora si potrà riportare a votare molti delusi che, di fronte alla politica spiccia di Grillo, hanno preferito un gesto dell’ombrello e una poltrona, piuttosto che sfogare la rabbia su una scheda, per spenderla nell’illusione di una città con le fette di salame sugli occhi, che con due bracciate a dorso sbraita che “ormai la mafia non c’è”.



Una delle domande che il Movimento 5 stelle si porrà nei prossimi giorni – se già non ha infastidito i sogni d’oro dell’istrione canuto – è proprio il motivo che ha impedito di fare razzia dei nostalgici della politica autentica. Certo proporre un mondo di puri al governo, se forse potrebbe attecchire verso Ginevra, non poteva coinvolgere il pragmatismo del popolo siciliano. E si spera che anche la Milano che votò a 5 stelle scopra la deficienza di un’attività politica i cui apici consistono – durante gli interventi di Mattia Calise al Consiglio Comunale – nel proteggere i poveri quindici platani abbattuti dietro la Stazione Centrale, se non nel propugnare un’idea della classe dirigente tanto pulita, da diventare insipida. Di maestri da cui imparare Milano ne ha fin troppi, non ultimo Marcello Marchesi – il comico che sdoganò la Mondaini e la Loren –, che sulla purezza morale aveva la battuta pronta: «Non esistono innocenti: tutti abbiamo passato un raffreddore a qualcuno».

Il populismo fa la ragazza facile, che prova a consolare l’elettore dopo un tradimento doloroso, consumato dopo la caduta del funambolismo freddo americano-sovietico, durante vent’anni di scontro alla ricerca di un nuovo equilibrio sopra la follia. In fondo, Grillo ha tentato gli Italiani con numeri da burlesque che potessero sedurre chi aspetta di sentire il richiamo della politica; il ruggito del leone di Genova è accattivante e un po’ ammalia. Se tuttavia i partiti sapranno presentare programmi che possano almeno traghettare il paese verso la ricostruzione europea, il populismo fallirà.

Gli elettori sono sul divano e attendono il ritorno della politica: basterebbe uno scampanellio, tanto per avvertire che qualcuno è ancora disposto a spendersi per un paese che non sia preda della turbolenza dei mercati, se non di qualche demagogo da marciapiede. Invece tanti politici si nascondono dietro a un dito e si siedono in poltrona, come i propri elettori latitanti. La palla è dei partiti, tutto il resto è noia: «Avanti il prossimo», sperando che sia politica.