Siamo alla vigilia delle “primarie” del Partito democratico, a quello che viene chiamato il “testa a testa” tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani. Siamo davanti a una serie di “manovre di centro” piuttosto complicate, con la discesa in campo (senza candidarsi) di Luca Cordero di Montezemolo, con la sua “Italia Futura”, e con tutti i richiami che sta facendo Pier Ferdinando Casini da un lato e  dall’altro altri personaggi che possono arrivare sino a Gianfranco Fini. Siamo al continuo richiamo del rispetto dell’”agenda Monti”, che dovrebbe essere una guida sicura per la partita che si gioca in Europa. Siamo poi di fronte a una vera e propria implosione del centrodestra, con una incertezza di fondo su chi potrebbe essere il leader di questo schieramento che ha caratterizzato più di tutti questo ventennio di seconda repubblica. Siamo infine di fronte ai risultati di precedenti e parziali consultazioni elettorali e a una raffica di sondaggi dove si prevede sia una grande area di astensionismo, sia l’affermazione di un movimento, quello di Beppe Grillo, che è stato definito con brutale schematismo antipolitica. Sia l’astensionismo che il grillismo sono le diverse facce di una area di dissenso, di disagio, di protesta sempre più marcata. Con tutti questi elementi occorre fare i conti anche per limitarsi a delle sole ipotesi di governabilità del Paese dopo le elezioni politiche della prossima primavera.



Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera, non nasconde le sue preoccupazioni e si affida a delle ipotesi di cui è difficile valutare la consistenza al momento  attuale. Ma allo stesso momento vede una situazione che si è radicalizzata, che è diventata molto confusa. «E’ un fatto sin troppo chiaro l’implosione del centrodestra. Il problema è vedere dove quel bacino di voti, di consensi, che convogliava grande parte degli italiani andrà a finire in una situazione come quella attuale. Mi sembra evidente che al momento gran parte di questi elettori sia da un lato delusa dallo stesso berlusconismo, ma nello stesso tempo non veda prospettive per il futuro. Sono ceti sociali moderati, che oggi si sentono braccati dal fisco, dall’incertezza, da una precarietà senza futuro. L’impressione è che in questo settore ampio della società italiana, un grande pezzo d’Italia, cresca l’astensionismo, oppure la scelta, quasi per sgarbo e per sfregio, cioè il voto per Beppe Grillo». 



Ma è proprio per questa ragione che c’è questo “grande movimento al centro”,da Montezemolo a Casini, ai vari appelli a un governo-bis di Mario Monti.

Bisogna intendersi su che cosa sia il centro dello schieramento politico italiano e quale sia l’elettore italiano che si affida al centro. L’Italia è certamente cambiata, ma se andiamo a vedere la storia di questi anni, notiamo che l’area del vecchio pentapartito, che si poteva inquadrare come un grande centro trasversale, della prima repubblica è stato poi ereditato sostanzialmente da Silvio Berlusconi. Già Berlusconi, anche se si parlava di un bipolarismo mite, aveva radicalizzato la politica italiana. Oggi, senza Berlusconi, la partita è diventata ancora più complicata. Non è che tutto l’elettorato del vecchio pentapartito della prima repubblica abbia votato Berlusconi. C’è stato anche chi ha scelto il Pd per sfiducia nella leadership berlusconiana. Ma si tratta di settori forse più responsabilizzati, più politicizzati dell’area moderata.
In sostanza, lei dice che in questo momento c’è un vuoto?
“Non dico questo. Credo che senza Berlusconi e il berlusconismo, questa grande area di italiani difficilmente verrà catturata dai nuovi centristi, se non in misura limitata. Se il nuovo centrismo, da Montezemolo a Casini a altri si muove a piccoli passi non sorpassa a mio parere il 12 percento. Questo mi porta a pensare che devono avvenire altri fatti, si deve pensare ad altre ipotesi per pensare  a una maggioranza di governo per il dopo elezioni.
L’ipotesi va a incrociarsi con le primarie del Partito democratico, sul “testa a testa” a tra Renzi e Bersani. E quindi su possibili maggioranze più ampie.
Ho sentito da Renzi una dichiarazione di rispetto per il vincitore delle primarie e quindi un allineamento del suo gruppo e dei suoi potenziali elettori alle linea di Bersani. Quindi non ci dovrebbero essere colpi di scena rispetto a una linea che si muove su una problematica alleanza con i centristi. Che tipo di maggioranza può uscire da questa linea politica?
Il nodo della questione è quindi quella di interpretare gli umori del grande
 vecchio, trasversale “centro” italiano?
Penso proprio che sia questo il perno di tutta la vicenda. Diventa difficile per tutti governare con un elettorato moderato che è disilluso, scontento, sconcertato e quindi portato a radicalizzare le sue posizioni di protesta.



 

(Gianluigi Da Rold)