Un emendamento alla Legge di Stabilità che oggi sarà approvata in via definitiva alla Camera assegna un incremento di fondi alla dotazione della Legge Smuraglia (l. 22 giugno 2000 n. 193), di quella legge cioè che prevede benefici fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti o svolgono attività formative nei loro confronti.
Il lavoro penitenziario è unanimemente e scientificamente considerato il più importante fattore di recupero e reinserimento sociale, quell’elemento del “trattamento” (secondo la terminologia un po’ burocratica delle norme) che meglio di qualsiasi altro dà attuazione alla previsione costituzionale per la quale le pene devono tendere alla rieducazione dei condannati (art. 27 II comma Cost.), poiché contribuisce come nessun altro all’abbattimento drastico della recidiva e conseguentemente dei costi abnormi del sistema carcerario.
Prima dell’approvazione della Legge Smuraglia, avvenuta nel 2000, le norme sul lavoro in carcere non avevano portato grandi benefici in termini di rieducazione, poiché a conti fatti, senza misure di sostegno non consentivano di creare reali opportunità occupazionali, a fronte di un progressivo aumento della popolazione detenuta. Inoltre non era ipotizzato che le attività produttive fossero gestite con criteri di gestione imprenditoriali o con figure in grado di relazionarsi in maniera competente e stabile con il mercato del lavoro; le poche esperienze significative avviate negli anni ’70 cessarono così dopo qualche anno, strette tra mille difficoltà logistiche, burocratiche e sindacali.
Non c’erano in sostanza misure sufficienti a convincere imprese pubbliche, private e del privato sociale a trasferire tutte o parte delle proprie lavorazioni all’interno delle mura carcerarie. E’ stata la Legge Smuraglia a introdurre per prima misure concrete per le aziende pubbliche e private e per le imprese del privato sociale (prevalentemente cooperative sociali e loro consorzi) che organizzano attività produttive con l’impiego di detenuti: sgravi contributivi per l’assunzione di detenuti in semilibertà o ammessi al lavoro all’esterno e un credito d’imposta mensile per ogni detenuto assunto o inserito in programmi di formazione con finalità di assunzione.
La Legge Smuraglia ha costituito un buon punto di partenza per affrontare il problema del lavoro nelle carceri; oggi su 66.685 detenuti presenti nelle 206 carceri italiane, che lavorano alle dipendenze di imprese e cooperative all’interno degli istituti sono meno di 900 (lavora cioè un detenuto ogni 74); è evidente che il numero non è affatto sufficiente a superare le difficoltà del sistema penitenziario italiano, oggi sempre più drammaticamente attuali. Sovraffollamento, condizioni di vita disumane, suicidi sono all’ordine del giorno.
Negli ultimi anni, sollecitata dal mondo cooperativo e dagli operatori del settore, anche la politica si è mossa chiedendo con due disegni di legge promossi dall’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà presentati ancora alla fine 2009, con il sostegno trasversale di quasi tutte le forze politiche, nuove misure che possano rendere più facile l’assunzione dei detenuti da parte delle imprese.
Nonostante l’ampio favore del mondo politico e le continue sollecitazioni di attenzione ai mille problemi delle carceri, in primis quelle insistenti e ripetute del Presidente Napolitano e non da ultimo l’impegno e i richiami accorati del Ministro Paola Severino, la questione del lavoro non era stata mai affrontata in modo strutturale, aggravando una situazione già allo stremo; nell’ultimo decennio i pochi benefici a disposizione del lavoro, mai aggiornati dal 2002, come il fondo a copertura del credito d’imposta previsto dalla legge Smuraglia, si sono esauriti molto prima del necessario, compromettendo i percorsi di inserimento già avviati e costringendo le imprese più in difficoltà a licenziare i detenuti.
La misura contenuta nella legge di stabilità viene perciò salutata come una svolta epocale, perché stabilizza e incrementa la copertura economica della legge Smuraglia e incentiva imprese e cooperative a investire maggiormente nelle attività produttive intra ed extra murarie, cioè in lavoro vero secondo le regole del mercato, migliorando le condizioni di vita non solo dei carcerati ma anche degli agenti di Polizia Penitenziaria e di tutti gli operatori che a vario titolo lavorano nelle carceri, ai familiari dei detenuti stessi e, più in generale, grazie all’abbattimento drastico della recidiva, portando un beneficio sociale ed economico veramente molto rilevante per tutta la società.
Vale la pena ricordare che secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia, la recidiva in Italia raggiunge circa il 70% tra coloro che hanno scontato la pena in carcere e si attesta al 19% per coloro che hanno potuto beneficiare di misure alternative alla detenzione. Questo significa che dei 66.685 detenuti oggi presenti nelle carceri italiane (fonte Ministero della Giustizia, dato aggiornato al 30 ottobre 2012), dopo la scarcerazione il 70% di loro commetterà almeno un nuovo reato una volta uscito dal carcere (e prima o poi usciranno tutti).
Il lavoro in carcere invece, quando è lavoro reale con regole di mercato, produce un abbattimento della recidiva che scende mediamente sotto al 5% circa con punte dell’1% quando i percorsi di inserimento lavorativo cominciano all’interno del carcere e proseguono all’esterno con le misure alternative.
Grazie all’abbattimento della recidiva un costo assistenziale pesantissimo, fino a 250 euro al giorno di costi diretti e indiretti per ogni detenuto, viene trasformato in risorsa a disposizione della collettività da destinare a interventi in sanità, sociale, scuola ecc., oltre a creare condizioni di vita più umane nelle carceri, più sicurezza sociale per i cittadini e risorse pubbliche non più sprecate ma impiegate costruttivamente dentro una prospettiva di reale reinserimento sociale. Il tutto senza alcuno slancio buonista e pietista o sconti di pena ingiustificati.
Chi ha sbagliato deve pagare, ma dentro una prospettiva, una speranza fatta principalmente di percorsi di rieducazione che solo il lavoro può garantire.