Il 15 e il 16 novembre si è svolto all’abazia di Spineto, in provincia di Siena, l’annuale incontro dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. L’ultimo, come ha sottolineato l’onorevole Enrico Letta nel suo saluto iniziale, di questa legislatura. Il tema di quest’anno “Giovani, educazione, crescita” è stato affrontato il venerdì 16 mattina dai 50 deputati e senatori (PdL, PD, UdC, Lega) presenti alla luce della relazione del presidente della Banca d’Italia Ignazio Visco, introdotto da un intervento del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini.
La sera prima, introdotto e guidato dal Vice Presidente della Camera Maurizio Lupi, si è svolto un interessante e vivace dialogo con il cardinale Camillo Ruini, che ha preso spunto dalla pubblicazione del suo ultimo libro “Intervista su Dio”. Tra le numerose le domande all’ex presidente della Cei, una è stata sulla presenza del tema “Dio” in politica ed una ha chiesto un consiglio per i politici. Alla prima il Cardinale ha sottolineato come il nostro paese sia profondamente diverso dall’America dove Dio è continuamente citato nel discorso pubblico; in Italia un atteggiamento simile sarebbe fonte di equivoci: “La presenza di Dio – ha detto – entra nella politica attraverso l’uomo, attraverso l’incidenza che ha sul modo di interpretare l’uomo, che è il problema che sta sotto molte questioni politiche. Chi siamo noi? La risposta, espressa nelle scelte sulle grandi tematiche antropologiche, sarà diversa a seconda se si ritiene che Dio ci sia o no”. Quanto al consiglio, il Cardinale Ruini è stato lapidario: Se voi poteste parlare meno delle questioni intrapolitiche e più delle questioni che interessano la gente… perché le questioni intrapolitiche non interessano la gente”.
Riguardo il ruolo pubblico della Chiesa il Cardinale ha spiegato come su certe tematiche sia inevitabile, se non decisivo, il suo diretto intervento. Per fotografare la condizione culturale nella quale i cristiani si trovano oggi a operare ha citato il cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago, il quale ha detto: “Prevedo per me di morire in un letto, per il mio successore di morire in prigione, e per il suo successore di morire come martire sulla pubblica piazza. Il suo successore raccoglierà i detriti di una società in rovina e pian piano aiuterà a ricostruire una civiltà, come la Chiesa ha fatto tante volte nel corso della storia umana”.
Al Governatore Visco l’Intergruppo ha chiesto invece di svolgere una analisi sulla situazione del paese rispetto ai giovani e al tema della crescita. La relazione è stata incentrata su quattro punti: giovani e mercato del lavoro, demografia ed effetti sull’occupazione, la possibilità di una nuova crescita, l’importanza del “capitale umano” per lo sviluppo economico.
La preoccupazione centrale del suo intervento è riassumibile in questo passaggio, dove, dopo aver constatato che l’Italia viene da due decenni di sostanziale stagnazione riconducibili al ritardo e alle incertezze con cui il nostro sistema produttivo ha risposto alla globalizzazione, ha elencato i punti per una possibile ripartenza.
“I fattori su cui agire per innalzare il nostro potenziale di crescita sono molti e noti: più concorrenza, in particolare nei settori dei servizi protetti; un più ampio accesso al capitale di rischio, soprattutto per le imprese innovative; una riduzione degli oneri burocratici e amministrativi che gravano sulle iniziative economiche; una regolamentazione del mercato del lavoro e un sistema di protezione sociale che, agendo congiuntamente, favoriscano la riallocazione delle risorse umane verso gli impieghi più produttivi; una giustizia civile più efficiente. L’evasione fiscale, tra le più elevate tra i paesi occidentali, sottrae ingenti risorse là dove sarebbero necessarie e introduce iniquità di trattamento tra i cittadini”.
Per indicare il lavoro che ci aspetta, perché essendo questo un ritardo accumulato nei decenni non c’è formula che esoneri da un impegno prolungato nel tempo, il Governatore ha raccontato un incontro dei primi anni 90 con l’ex Governatore della Banca centrale sovietica allora a capo della Banca centrale russa dopo il dissolvimento del regime: il sistema bancario non esiste – disse in sostanza – ma noi passeremo direttamente alla moneta elettronica. Il suo pronostico era talmente fallace che in Russia in quegli anni tornò l’uso del baratto. I passaggi fisiologici di una crescita, anche economica, non si possono saltare.
In merito al sistema formativo, il Governatore, pur riconoscendo le eccellenze che non mancano nel nostro paese, ha sottolineato il fatto che la media dei risultati del nostro sistema scolastico e universitario è bassa. Bisogna lavorare per innalzarla e il sistema di valutazione iniziato con l’Invalsi e l’Anvur fa ben sperare che si vada in questa direzione.
Nelle sue conclusioni Vittadini, condividendo gran parte dell’analisi di Visco, ha voluto indicare il punto dal quale è possibile ripartire: le eccellenze. Ciò che funziona può essere paradigmatico per il sistema e proprio per questo va valorizzato. “Se i cervelli italiani fuggono all’estero – ha detto il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – vuol dire che l’università italiana produce cervelli. Il problema è che poi non dà la possibilità di specializzarsi con veri dottorati e master. Ma se chi va all’estero mantiene un legame identitario con il suo paese, aiuterà la nuova internazionalizzazione della nostra università. In molti chiedono l’Erasmus o lo stage all’estero proprio perché capiscono che la formazione media non basta, vogliono di più. Bisogna moltiplicare queste possibilità. Questo vuol dire valorizzare”.
C’è un’immagine che Vittadini ripete spesso, l’ha messa a simbolo della mostra su “I giovani e la crisi” che la Fondazione per Sussidiarietà ha allestito al Meeting di Rimini: è quella dei Prigioni di Michelangelo. “L’Italia è così – ha detto – ci sono muscoli e forza, ma sono imprigionati. Bisogna liberarli dalle catene della burocrazia, dai mancati investimenti sulle eccellenze e sulla formazione”.
La virtù che serve, secondo Vittadini, è il coraggio della scelta: detassare non può essere una promessa per tutti ma una scelta mirata alle eccellenze, alle imprese che investono, che creano occupazione, che esportano.
Ma l’investimento cruciale è “quello sull’io”. Qui Vittadini ha rovesciato i parametri soliti: “Bisogna capire che investire sul capitale umano è un investimento non una spesa sociale. Noi spendiamo in istruzione e formazione ma in modo burocratico, senza premiare il merito, senza favorire una vera autonomia delle scuole e questa valorizzazione delle eccellenze si paga”.
Con la stessa metodologia Vittadini ha affrontato il discorso sulla solidarietà “che è diversa dall’assistenzialismo”. Sicuramente – ha osservato – c’è una fascia di persone che ha bisogno di assistenza, ma non dobbiamo dilatarla creando assistiti anche tra coloro che invece vanno incentivati a un miglioramento, “sarebbe una scelta di comodo, come sono più comode politiche passive della manodopera piuttosto che politiche attive”.
Tutto questo implica quella che Vittadini ha definito “la grande scommessa”: che istruzione e investimento sul capitale umano arrivi sino all’educazione. Perché il vero valore aggiunto è una persona educata a un ideale e a una capacità critica di fronte alla realtà, “come dimostrano i periodi più positivi della nostra storia dall’unità a oggi: non c’era previsione positiva dopo la seconda guerra mondiale per l’Italia, nessuno poteva scommettere che saremmo diventati il settimo paese industriale. La vera eccezionalità italiana è che l’istruzione non è solo istruzione, è educazione a un valore, a un ideale, come ripete spesso il presidente Napolitano”
L’esempio concreto di cosa voglia dire partire dal positivo che un’educazione ideale tesa al bene comune favorisce i componenti dell’Intergruppo l’avevano davanti agli occhi, se uomini e donne di diversa estrazione politica avessero aspettato cambiamenti di sistema o di clima per iniziare un dialogo l’Intergruppo per la Sussidiarietà non sarebbe mai nato. La scommessa sulla volontà positiva dell’altro che ognuno ha fatto ha trovato ancora una volta conferma nelle parole del presidente Napolitano che martedì scorso, citando Croce, s’è detto convinto che i partiti “nel bene dell’Italia troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi la loro discordia”.